Storie di speranza

Storie di donne, uscite dal tunnel della violenza ed ospitate nei centri antiviolenza della Regione Toscana

Le testimonianze sono reali, i nomi sono di fantasia, per proteggere la riservatezza delle donne che raccontano le prioprie esperienze.

Le storie delle donne raccontate in questa pagina sono state raccolte dal Centro Aiuto Donna Lilith delle Pubbliche Assistenze Riunite di Empoli con cui la Fondazione Il Cuore si scioglie onlus ha sostenuto il progetto di crowdfunding che ha portato alla realizzazione di uno sportello antiviolenza, posizionato all’interno stazione ferroviaria di Castelfiorentino, che offre supporto psicologico e assistenza legale e più recentemente ha contribuito al crowdfunding per L’abbraccio di Casa Matilda, che prevede attività psicoeducative per bambini vittime di violenza assistita, quel fenomeno, talvolta “invisibile” dove minori sono stati costretti ad assistere a qualsiasi forma di maltrattamento su figure di riferimento.

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Alina: ora vivo per le mie figlie

Sono nata in una grande città della Romania. La mia era ed è una famiglia molto affettuosa, non eravamo ricchi ma non mi mancava niente. Quando l’ho conosciuto avevo 19 anni e frequentavo il primo anno della facoltà di filosofia. Lui era il cugino della mia migliore amica, viveva in Italia da due anni ed era ritornato in Romania per le vacanze di Natale.

Ci siamo fidanzati, lui ha detto che voleva sposarmi subito. Ho interrotto l’università e sono venuta in Italia. Mi sono sposata e 22 mesi dopo avevo già due figlie. Sono rimasta con lui per otto anni. Otto anni durante i quali non potevo lavorare, non potevo avere nessuna amica, non potevo uscire, non potevo parlare con un estraneo, non potevo contattare la mia famiglia.

Un giorno mi ha picchiato per l’ennesima volta davanti alle bambine. Quando è uscito per recarsi al lavoro ho preso le mie bimbe e, con i vestiti che avevamo addosso, ce ne siamo andate.

Adesso ho 32 anni, un lavoro ed una piccola casa. Vedo spesso la mia famiglia, ma ciò che mi rende profondamente serena è veder crescere le mie figlie tranquille, lontane dalla violenza. Non ho un nuovo compagno: per adesso vivo per loro.

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Simona. Una storia di solitudine

La mia non è una storia di violenza fisica ma la storia di una immensa solitudine dalla quale soltanto adesso riesco, a poco a poco, ad uscire. Sono nata in Sardegna, in una grande casa dalla quale vedevo il mare e della mia isola che ho lasciato all’età di 15 anni porto dentro di me una immagine tenerissima. Insieme a mio padre ed ai miei due fratelli venni a vivere qui in Toscana.

La mamma non venne con noi ed io, oltre a sentirmi molto sola, mi trovai a dover provvedere a tutte le incombenze di una famiglia. Non avevo amiche, non andavo a scuola, non avevo, a differenza delle altre, un fidanzatino. Ho conosciuto il padre di mia figlia quando avevo già 26 anni, lui ne aveva 40. Dopo poco, restai incinta. Quando glielo dissi lui fece di tutto perché abortissi ma io non avrei mai potuto farlo e non lo feci. Quando nacque la mia bambina lui non era accanto a me. Quando io e la bimba tornammo a casa lui andava a pranzo e a cena da sua madre. Non mi amava ma mi controllava.

Non mi dava i soldi né per me né per la bambina. Voleva vedere ogni scontrino, controllava ogni piccola spesa. Non potevo uscire e più di una volta mi ha preso con la forza mentre dormivo. Mi sentivo spersa, non sapevo cosa fare. Poi la vita ha comunque ripreso il sopravvento e dentro di me qualcosa si mosso.

Del giorno in cui sono finalmente riuscita a fuggire ricordo soltanto un senso di infinita leggerezza ed una libertà bellissima come il mare della mia Sardegna.

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Elena: gli ho detto che volevo andarmene, mi ha puntato un coltello alla gola

Quando dopo anni e anni di litigi e incomprensioni gli ho detto che volevo andarmene, mi ha puntato un coltello alla gola. “Puoi andartene quando vuoi -mi ha detto- ma devi lasciarmi tutto: la casa, la macchina e i soldi”.

Due giorni dopo ha chiuso a chiave la porta, ha tirato fuori una pistola e mi ha tenuto segregata per quattro ore. Io non ho parole per raccontare quello che ho provato. Piangevo, tremavo, lo imploravo di ragionare. Mi ha fatto firmare un foglio nel quale lui aveva scritto che io andandomene avrei rinunciato a tutto. Poi, sempre con la pistola puntata contro di me, mi ha detto di vestirmi, perché aveva fissato un appuntamento da un notaio.

Mi ha detto di non fare scherzi perché mi avrebbe sparato anche per strada. Sono salita in macchina e siamo giunti dal notaio. Quando la segretaria si è alzata sono corsa dietro di lei chiudendo la porta alle spalle. Tremando come una foglia. Ho raccontato al notaio quanto stava avvenendo. I carabinieri sono arrivati pochi minuti dopo.

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Paola. Io sono molto più delle mie ferite

Un padre alcolizzato, violento. Un marito altrettanto violento e giocatore. Adesso che tutto è finito, mi chiedo come ho fatto a sopravvivere. Ero una bambina curiosa e sono una donna curiosa: amo dipingere, leggere, tenermi informata. Amo il mio lavoro e ovviamente amo mio figlio.

Quest’incubo durato 44 anni è finito a luglio ed io per la prima volta mi sento serena. Non credo, non potrei, nella felicità. Ma spero con tutto il cuore che riuscirò a vivere tranquilla. Quando mi ritrovo con altre donne, quando parlo con persone amiche, quando svolgo il mio lavoro, sento che, sebbene ferita ogni oltre limite, nessun uomo è riuscito a distruggere la mia realtà interiore, l’amore che ho per gli altri, la mia capacità di guardare avanti e l’immensa fede che ho per la vita.

So di non essere sola, so di potercela fare, so che io sono molto di più delle mie ferite.

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Numeri contro la violenza

30.000 euro ai centri antiviolenza della Toscana. È il ricavato dalla vendita del pane del 25 novembre nei Coop.Fi. Finanzierà le attività della rete di associazioni che ogni giorno sono impegnate contro la violenza sulle donne
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