L’arte della Memoria

Il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa entravano nel campo di sterminio di Auschwitz, mettendo fine a uno degli orrori più atroci della storia. Raccontare la Shoah ai più giovani attraverso il teatro, la scultura e i libri è un antidoto all’oblio

«Ci sono cose da non fare mai… per esempio, la guerra», scrive Gianni Rodari nella sua poesia Promemoria, eppure la cronaca dei nostri tempi ci testimonia ben altro. Allora viene da domandarsi, come Primo Levi, perché la memoria del male non riesca a cambiare l’umanità, e a cosa serva. «A non diventare complici dell’indifferenza», risponderebbe la senatrice a vita Liliana Segre, perché ciò che è accaduto può ritornare.

«Il Giorno della Memoria non è solo un giorno di celebrazione e di ricordo ma, soprattutto, è un momento di esercizio attivo di cittadinanza per riflettere sugli errori e gli orrori del passato, su come appena 80 anni fa siamo stati capaci di scivolare dalla civiltà alla barbarie, costruendo un meccanismo di persecuzione e di complicità attiva nei confronti di un progetto di sterminio, non solo verso gli ebrei», commenta Enrico Fink, presidente della Comunità Ebraica di Firenze e noto musicista. Come fare perché questo messaggio arrivi a tutti, ma specialmente ai più giovani? Una risposta possibile è attraverso l’arte, nelle sue diverse forme espressive: teatro, scultura, scrittura.

L’amico ritrovato

L’amico ritrovato è lo spettacolo che il Teatro della Toscana offre a gennaio agli studenti delle scuole superiori, e che andrà in scena al Teatro di Rifredi di Firenze, con spettacoli mattutini (previsti anche spettacoli aperti a tutti nelle repliche dal 26 al 28, alle 21, e il 29, alle 16.30 con biglietto a 14 euro). Tratto dal romanzo di Fred Uhlman, adattato dal drammaturgo Josep Maria Miró, tradotto e diretto da Angelo Savelli, la pièce vede in scena i tre attori Mauro D’Amico, Federico Calistri e Roberto Gioffré.

«La scelta del romanzo di Uhlman ci è sembrata la più giusta in quanto racconta la storia di due adolescenti, uno figlio di un medico ebreo, l’altro rampollo di una ricca famiglia aristocratica, nel periodo dell’ascesa del Nazismo, che vengono divisi dalla guerra, e della loro amicizia, fondamentale e naturale nella formazione dei giovani, quanto difficile tra popoli e culture diverse – commenta il regista Angelo Savelli -. Un sentimento di amicizia inclusiva per tenere accesa una luce al comune disprezzo per l’antisemitismo, il razzismo e le guerre».

Info: www.teatrodirifredi.it

Prigioniero- Sauro Cavallini

Sauro Cavallini. L’opera di un internato

La dedica di un figlio al padre, per raccontare il suo internamento nel 1944 al campo del Gradaro, in provincia di Mantova, conosciuto attraverso i suoi scritti, ma di cui lo stesso non ha più voluto parlare, se non attraverso la sua arte. Quell’uomo è Sauro Cavallini, uno degli artisti più significativi della seconda metà del Novecento, che sedicenne conobbe la sofferenza dei campi di internamento. Quando cominciò a praticare la scultura, volle dedicare le sue prime opere a quel periodo. Questi lavori, realizzati fra il 1961 e il 1963, in ferro e in ottone, saranno esposti dal 26 gennaio al 28 febbraio, per la prima volta, nelle sale di Palazzo Guadagni Strozzi Sacrati di Firenze.

«Sono opere che parlano di sofferenza, dolore, maternità interrotte, uomini piegati e umiliati, ma mai di odio. Opere in ferro, definite con gocce di metallo fuso sovrapposte in modo irregolare, un lavoro lungo e paziente, quasi a voler dar forma ai tormentati ricordi, e a sottolinearne la sofferenza. Forme diverse da quelle in bronzo levigato dell’ultima produzione artistica» commenta il figlio Teo.

La mostra, ideata dal Centro Studi Cavallini e curata dal direttore Maria Anna Di Pede, è stata realizzata con la collaborazione della Fondazione Fossoli, del Museo della Deportazione di Prato e il contributo di Regione Toscana e Unicoop Firenze. Le opere esposte fanno parte della collezione custodita nella Casa Museo Sauro Cavallini di Fiesole dove ha sede l’omonimo Centro Studi presieduto dai figli dell’artista, Aine e Teo. Nell’allestimento le sculture sono affiancate a pannelli, in tutto 16, con fotografie e documenti storici che illustrano uno dei periodi più dolorosi della nostra storia: i crimini nazifascisti commessi sulla popolazione civile e militare.

Info: saurocavallini.it

Pietre di carta

Le pagine dei libri come “pietre d’inciampo” possono aiutarci a conoscere la storia e conservarne la memoria. Ma quando e come possiamo iniziare a far leggere queste terribili pagine di storia ai nostri figli? Daniela Palumbo ha scritto vari libri per ragazzi sul tema della memoria, come Le valigie di Auschwitz o Fino a quando la mia stella brillerà, romanzo-testimonianza di Liliana Segre. «Occorre prendere in considerazione l’età del bambino – spiega -, fareattenzione a non anticipare argomenti con un portato emotivo così forte. Ai bambini si può parlare di qualsiasi argomento, a patto di rispettarne la sensibilità, facendo attenzione a non forzare con l’orrore l’innocenza infantile».

Concorda anche Roberta Favia, esperta di letteratura per l’infanzia e didattica della Shoah, e autrice del blog Teste fiorite (testefiorite.it): «Si può iniziare con un approccio molto cauto dalla seconda-terza elementare, proponendo libri che parlano di educazione e rispetto dell’altro, storie che trattano della nascita del pregiudizio, della paura della diversità, ma anche dei valori positivi dell’amicizia, del coraggio, di solidarietà, che tengono accesa la speranza. Argomenti che preparano alla comprensione della Shoah quando saranno più grandi. Importante è che i libri abbiano una qualità estetica e narrativa alta, competenza e correttezza storica, e un linguaggio semplice e adatto all’età dei bambini».

«Lavorare sulla Memoria significa impegnarsi ogni giorno nella costruzione di una società migliore – conclude Enrico Fink -, capace di accettare e convivere con l’altro. È importante che le giovani generazioni conoscano la storia, non tanto per farsene carico e diventare testimoni, ma per comprendere meglio le contraddizioni del presente».

Consigli di lettura per i più piccoli

Roberta Favia, esperta di letteratura per l’infanzia e didattica della Shoah, autrice del blog testefiorite.it, consiglia:
Jennifer Elvgren e Fabio Santomauro, La città che sussurrò (ed. Giuntina), dagli 8 anni; Fabrizio Silei e Maurizio Quarello, Fuorigioco (ed. Orecchio Acerbo), dai 9 anni;
Matteo Corradini, Solo una parola (ed. Bur), dai 10 anni.
– Matteo Corradini, Solo una parola (Bur 2021), dai 10 anni
Dalle scuole medie:
– Keren David, Le cose che ci fanno paura (ed. Guntina)
– Michael Rosen, In cammino, Poesie migranti (Mondadori), poesie

Disponibili su piùscelta.it

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