L’etichetta del vino spesso è bella e complicata, ma come per ogni prodotto alimentare è dettata da regole precise, da conoscere per capire meglio cosa si acquista. Il riferimento normativo principale è il Regolamento Ue 607/2009, seguito dal D.l. 61/2010 per le Denominazioni di origine.
A livello comunitario, i vini sono suddivisi in vini generici e varietali, che non vantano un legame con il territorio, e i vini a denominazione di origine con specifico legame con il territorio geografico, come Dop e Igp (ex Doc, Docg, Igt). Rispetto ad altri alimenti, l’etichetta è più complessa, perché prevede informazioni obbligatorie e altre facoltative ma regolamentate, da scegliere tra alcune possibili.
Tutte le indicazioni obbligatorie devono essere nello stesso campo visivo, sull’etichetta frontale o posteriore, non sul fondo, per non dover capovolgere la bottiglia per trovarle.
Indicazioni obbligatorie
La prima informazione, fondamentale per capire il tipo di vino, è la denominazione di vendita. La denominazione più semplice è quella di vino, seguita dall’aggettivo che ne definisce il colore (bianco, rosso, rosato), senza specifica di vitigno e annata. I vini definiti “varietali” riportano l’indicazione dell’annata e del vitigno, perché prodotti solo con uno dei sette vitigni consentiti per legge: Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Cabernet, Chardonnay, Merlot, Sauvignon e Syrah.
Per i vini a denominazione d’origine è obbligatoria la denominazione espressa con la sigla o per esteso, e l’annata di produzione. A seguire, si hanno il nome dell’imbottigliatore, il Paese di produzione, il grado alcolico effettivo in 100 ml, la quantità di vino contenuta, la presenza di solfiti e il lotto di produzione. Solo per i vini spumanti è obbligatorio il tenore zuccherino, che va da zero a 6 g/l fino a più di 50 g/l, che li classifica con i termini da extra brut a dolce.
I solfiti
Si tratta di diverse sostanze con azione antiossidante e conservante usate in molti alimenti e bevande, nel rispetto di precise quantità, poiché sono considerate sostanze allergeniche. Nel vino si tratta di anidride solforosa, che può essere aggiunta in ogni fase della produzione, ma anche prodotta in piccole quantità dai lieviti durante la fermentazione; per questo, è praticamente impossibile avere vino totalmente senza solfiti. Secondo la legge la dicitura “senza solfiti” fa riferimento a vini che ne contengono una quantità pari o inferiore a 10 mg/l.
Biologici e biodinamici
Dalla vendemmia 2012 si può usare la definizione “vino biologico”, con il logo biologico Ue, riportando gli estremi della certificazione e dell’organismo controllore. Per il vino biologico sono previste regole specifiche sia per la produzione di uve che per il processo di vinificazione. Il passaggio dall’agricoltura tradizionale a quella biologica prevede un periodo di conversione di tre anni. Solo dopo è possibile usare la definizione di vino biologico.
L’agricoltura biodinamica, basata su una visione olistica dell’agricoltura, che prevede la concimazione con materiali biologici e la lavorazione non distruttiva del terreno, non ha, a oggi, una sua esclusiva normativa o etichettatura. Secondo l’ultimo Regolamento Ue 848/2018, che sarà applicato dal 1° gennaio prossimo, i prodotti biodinamici saranno anche di tipo biologico, con relativa etichettatura.
Doc e Docg sono marchi di origine italiana utilizzati in enologia, per vini prodotti nel rispetto di uno specifico disciplinare di produzione. Nel 2013 sono stati assimilati nella categoria comunitaria Dop. In sintesi, per i Doc e i Docg riconosciuti prima del 2013, è concessa la deroga per il mantenimento della sigla, tutti gli altri sono indicati con la sigla Dop o Igp. La fascetta numerata, prodotta dall’Istituto Poligrafico dello Stato, con il sigillo della Repubblica, è un “contrassegno di Stato”, a garanzia di queste produzioni considerate di eccellenza nazionale.