Un partigiano in città

La storia di Silvano Fedi dal racconto di Renzo Corsini, vicepresidente dell'Anpi di Pistoia. Il racconto di un ragazzo di ieri per i ragazzi di oggi

Renzo Corsini, classe 1936, figura storica dell’Anpi Pistoia, ha vissuto gli anni della guerra con gli occhi di un bambino. “Ho patito la fame, quella vera. Con la tessera del pane andavamo dal fornaio: un etto di pane per me, mia madre e mia sorella, e due etti per il babbo perché lavorava. Ma non il pane bianco, quello l’ho scoperto poi con i soldati americani”. – Racconta il Corsini. – “Con il bombardamento di Pistoia del 24 ottobre 1943 la nostra casa andò distrutta, raccogliemmo quelle poche cose rimaste e sfollammo in campagna da una parente. Siamo vissuti un anno in un fienile riadattato dal babbo a casa con quel poco che si aveva, mi ricordo ancora il gran freddo, i geloni alle mani. Mia sorella faceva piccoli lavori di cucito ai contadini in cambio di qualcosa da mangiare, e così abbiamo superato quegli anni difficili, perché il babbo poi perse il lavoro”.

Nella sua vita Renzo ha fatto molti lavori: l’elettricista, il meccanico, il ferroviere, ha avuto esperienze sindacali e politiche. Alla sua passione per il calcio (dal 1953 segue una squadra di calcio per ragazzi dai 6 ai 14 anni) ha accompagnato quella per la scrittura, la poesia popolare e vernacolare, e per il teatro per ragazzi, unita a quella per la ricerca di storie di guerra e Resistenza. Tra le tante memorie raccolte anche quella di Silvano Fedi, un giovane pistoiese nato il 25 aprile del 1920, morto in un agguato a sorpresa dei tedeschi a soli 24 anni, il 29 luglio 1944, sulla Collina di Montechiaro, uno dei tanti giovani che scelsero di combattere la violenza fascista e il nazifascismo per amore della libertà e del proprio territorio.

A Silvano Fedi la città di Pistoia ha dedicato una scuola, l’ I.T.T. S. Fedi – E. Fermi, un gruppo sportivo, una strada, a lui sono dedicate una ballata ed un recente film realizzato da giovani registi pistoiesi. Sulla sua figura lo stesso Renzo ha realizzato 25 anni fa uno spettacolo “Fuoco a Montechiaro” con i suoi ragazzi del gruppo di teatro del Circolo Garibaldi. Tra le ultime iniziative anche una raccolta di firme per dichiarare il partigiano e il compagno di battaglia, Giuseppe Giulietti, cittadini illustri di Pistoia.

La lezione di Silvano. Quale il valore della sua memoria oggi?

“I ragazzi di 75 anni fa come Silvano Fedi e i suoi compagni hanno creato le condizioni di libertà nelle quali i ragazzi di oggi vivono, combattendo la dittatura fascista e il nazifascismo e contribuendo così alla nascita della Repubblica e della nostra Costituzione.” – Commenta Renzo. – “La Costituzione è l’arma dei giovani di oggi quindi dico loro di battersi per il rispetto dei principi fondamentali in essa contenuti. Loro l’hanno conquistata, voi dovete impegnarvi perché sia messa in pratica ogni giorno. È l’eredità dei vostri bisnonni. Quando i giovani scendono in piazza per chiedere un’aria più pulita, un suolo meno inquinato, una politica che pensi ai problemi della gente chiedono che sia applicata la Costituzione. Non siate indifferenti, fatevi carico di questa eredità importante. Dobbiamo raccontare ai ragazzi la storia, renderli consapevoli cosicché possano scegliere. È cambiata la società, le tecnologie si sono evolute, ma i drammi umani sono gli stessi, le scelte sono le stesse: scendere in piazza o restare a casa? Prendere parte o restare indifferenti? Non ci sono una memoria lontana e un fatto presente, ma un vivere il proprio tempo da protagonista o da spettatore. La Resistenza è fatta anche di ombre, non solo di scelte eroiche e i ragazzi devono sapere tutto”.

Ci racconta la storia di Silvano Fedi?

“Silvano era un mio vicino di casa – racconta Renzo – abitava come me alla periferia sud di Pistoia, come Licio Gelli. Quest’anno è il centenario della sua nascita e ancora oggi, dopo 25 anni, racconto la sua storia ai ragazzi delle scuole. La mia ricerca è partita dalle memorie del fratello Filiberto, che era anche medico sociale della squadra di calcio che seguo, dalle memorie del suo braccio destro Artese Benesperi, del partigiano Claudio Pallini, poi i compagni di scuola, Giovanni La Loggia, Emiliano Panconesi e Gerardo Bianchi, Marina Cappellini, anche lei eroina perché nascose per mesi due paracadutisti inglesi, poi fu scoperta e messa in galera prima a Santa Verdiana a Firenze poi a Pistoia, fu lo stesso Silvano a liberarla”.

“Fedi era un giovane libertario, classificato impropriamente come anarchico, ma soprattutto è stato un ragazzo della lotta partigiana dal grande coraggio, un leader dotato di grande carisma e intelligenza tattica, e volontà di agire, restando indipendente dai partiti. È riuscito a compiere azioni di grande valore con la minima dispersione di sangue e di uomini, e alla fine ha pagato con la sua stessa vita. Ha agito sempre in città o in periferia, nelle campagne vicine, a contatto diretto con i nemici, tedeschi e repubblichini”.

“Era nato in una famiglia piccolo borghese, agiata per quei tempi, il babbo era un commerciante di bestiame, frequentava il liceo classico Forteguerri, poi si è iscritto all’Università così come i suoi fratelli, e per quei tempi era un privilegio di pochi. A 16 anni inizia a mostrare il suo interesse politico e la sua anima antifascista. Nell’ottobre del 1939, a soli 19 anni, viene arrestato per antifascismo e condannato a 9 mesi di galera. Il 25 luglio 1943 accade il primo episodio pubblico che lo vede protagonista. Festa di San Jacopo, patrono di Pistoia. Silvano e un giovane avvocato pistoiese Emanuele Romei vanno alla fabbrica San Giorgio a parlare con gli operai incitandoli alla rivolta. Arriva la polizia e lo arresta. Gli operai dichiararono sciopero e reclamano la libertà del Fedi che alla fine viene rilasciato”.

Gli inizi della lotta partigiana…

“Si arriva all’8 settembre del 1943. I pistoiesi antifascisti si ritrovano tutti in piazza Spirito Santo perché lì c’era la caserma della milizia fascista. Chiedono ai militari di uscire dalla caserma, ci fu un assalto. Il prete don Pellegrineschi, antifascista, uscì e cercò di calmare la folla per evitare un bagno di sangue e propose di chiuderli in chiesa e chiamare le autorità. Silvano è presente, con i cugini Enzo e Marcello Capecchi, che poi diventeranno due dei suoi luogotenenti. Saranno loro i primi uomini della sua formazione partigiana che chiamerà Squadre franche libertarie”.

Il 12 settembre 1943 una pattuglia tedesca in piazza San Lorenzo fucila sei civili al muro, senza alcuna colpa. Con loro anche una donna, Maria Tasselli, che prese il posto della figlia di 8 mesi a cui oggi è intitolata una strada. Silvano parte con il suo primo nucleo di formazione. Servono armi, viveri… Le armi sono alla Fortezza di Santa Barbara, la caserma è presidiata da soldati italiani. Ai primi di ottobre, con tre azioni a sorpresa in tre giorni diversi, Silvano riesce con i suoi uomini ad assalire la Fortezza e prendere tutto l’occorrente per la sua formazione e le altre. Il tutto senza colpo ferire.

Il 24 ottobre del 1943, la città di Pistoia viene bombardata: 149 morti, di cui 30 bambini. Silvano e i suoi ragazzi si adoperano per soccorrere la popolazione. “Mi ricordo ancora vivamente quel giorno – racconta Renzo – buttavano i bengala che illuminavano a giorno la città, e poi arrivavano i bombardieri. Mio padre ci urlò di uscire e questo ci ha salvato la vita. La mattina dopo tornando verso casa…tutti quei morti allineati.. ancora ce l’ho davanti”.

L’intelligenza tattica del Fedi

Marzo 1944. Silvano è a Valdibrana, con Artese Benesperi armato, alle spalle altri partigiani, per assalire la Fortezza in cerca di rifornimenti. Quella sera però vengono scoperti da un ufficiale tedesco, che si era appartato con una ragazza, li vede e spara. Il Benesperi risponde al fuoco e uccide l’ufficiale. Allora un ufficiale tedesco morto significava 30 civili uccisi. Ancora una volta l’intelligenza del Fedi viene fuori.

“Silvano conosceva due ragazze figlie di un commediografo di Serravalle, Gioacchino Forzano, amico intimo di Mussolini per cui aveva scritto anche un’opera teatrale e chiese loro aiuto. Il babbo delle donne chiamò Mussolini che il giorno dopo aveva fatto fucilare quattro giovani, rei di essere renitenti alla leva. Uccidere altri 30 civili avrebbe significato una rivolta cittadina. Così per scongiurare la sommossa fece passare l’episodio dell’ufficiale tedesco come un mero fatto di corna. A quei quattro ragazzi poi nel 1987 siamo riusciti a far assegnare dal presidente Napolitano la medaglia d’oro al valor civile” – commenta il Corsini.

Le condizioni precarie del momento fanno sì che il Fedi si ammali di tifo e debba andare a curarsi in una clinica privata, il che porta lo sfilacciarsi della sua formazione. Rientrerà operativo a fine maggio, e qui avviene il quarto colpo in Fortezza, il 1° giugno, stavolta con l’aiuto dei partigiani di Montale. L’intelligenza tattica del Fedi si dimostra anche poco dopo quando utilizzando la sola arma della parola riesce a convincere una quarantina di poliziotti ad arrendersi e gettare le armi.

Il suo capolavoro

Dopo la questura il suo “capolavoro”, come lo definisce il Corsini: la liberazione dei detenuti dal carcere di Santa Caterina in Brana, all’epoca bombardato e quindi trasferito in collina a Villa Mattani, dove si trovavano circa una sessantina di persone, per lo più detenuti politici e alcuni ebrei.

“Silvano si fece aiutare da Licio Gelli, allora ufficiale fascista e repubblichino che però non disdegnava di aiutare i partigiani se ben pagato. Dove presero i soldi? Nelle banche, senza discussione, la situazione era così incerta, non si capiva chi erano i vincitori chi i vinti, che dare un aiuto significava assicurarsi la vita dopo. Silvano e Licio si presentano dal direttore del carcere chiedendo di preparare una cella speciale perché avevano catturato un partigiano pericoloso. Tornano Licio con Silvano, Artese Benesperi e altri partigiani. Artese e gli altri partigiani con le manette ai polsi, non chiuse naturalmente. Fanno radunare le guardie al centro della villa e, ad un segnale convenuto, le disarmano mettendo in cella maresciallo e guardie e liberando tutti i detenuti. Ancora un volta senza colpo ferire. Tra questi anche Marina Cappellini. Questo succede il 26 giugno 1944”.

L’ultimo mese

Si entra in luglio. A Silvano viene all’orecchio che nella zona di Quarrata ci sono un gruppo di delinquenti che spacciandosi per partigiani del Fedi vanno a rapinare le famiglie e poi l’amara scoperta che uno di questi è un suo partigiano, che fa il doppio gioco. Come lo scopre? “Arrivava sempre tardi alle riunioni, uno detto Ciapino”. – Commenta Renzo. – “Spalle al muro, Ciapino confessa e così Silvano fa catturare i delinquenti che vennero processati in casa di un tale Tonino a Ponte alla Pergola, un compagno fidato”. Silvano si rivolge al CLN per avere i giudici. La sentenza in tempo di guerra era la fucilazione immediata per questi reati ma il Fedi non era un sanguinario, e così risparmiò loro la vita chiedendo che fossero condannati, come poi avvenne, da un tribunale ordinario dopo la guerra.

“Con questa scelta forse ha firmato la sua condanna a morte”. – Commenta Renzo. – “Perché questi banditi proseguono nei loro reati rapinando anche nella casa di una ricca famiglia ebrea di Pistoia scatenando le furie del Fedi che organizza un incontro chiarificatore nella Collina di Montechiaro”. Ed è proprio qui, alle 14 del 29 luglio 1944, che avviene l’agguato a sorpresa dei militari tedeschi. Muoiono Silvano, il paracadutista Giuseppe Giulietti detto “Genova”, mentre Marcello Capecchi rimane ferito, ma sarà catturato e ucciso poco dopo. Il Benesperi non c’è perché è stato arrestato la sera prima e portato in una palestra in piazza Mazzini, da cui riuscirà a scappare.

Fu imprudenza, eccesso di coraggio? Poco importa e nulla toglie, al di là delle ipotesi fatte negli anni su come andarono le cose, al valore di Silvano Fedi. I tedeschi poi fanno un rastrellamento e trovano un uomo di Silvano, Brunello Biagini, che purtroppo ha la tessera di partigiano addosso, lo torturano e lo seppelliscono, la buca è poco profonda e gli rimangono gli stivali fuori. Sarà il babbo a trovarlo riconoscendolo dallo stivale.

A Montechiaro oggi c’è un monumento che ricorda l’episodio di Montechiaro.

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