Gianluca Salvatori. Dove va la cooperazione?

Uomo, natura, società, giovani e vecchi, la vita di oggi e i sogni di domani: i grandi temi, quelli che Michele Serra, giorno dopo giorno, ha scolpito in semplici parole sulla sua Amaca quotidiana.

Per aprire l’anno, il giornalista ci ha regalato qualche sua riflessione e qualche buon auspicio per l’anno nuovo. Il futuro, chissà: di certo, domani, l’Amaca uscirà.

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Il video

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Che rapporto ha con la natura?

La natura mi rende felicissimo: la cerco, la vivo, la amo. Ero un bambino di città, ma di quelli che volevano sempre andare dai cugini, dagli zii, dai parenti in campagna e piangevo quando mi riportavano in città.

La natura è bella perché è sovrastante, fa pensare che è più importante di te, che ti ha preceduto e rimarrà quando non ci sarai più. Questo discorso vale per gli individui ma anche per l’intero genere umano. La natura c’era prima di noi e sarà dopo di noi. La natura a qualcuno può dare una sensazione di paura e a qualcun altro invece dà quell’impressione di “naufragar m’è dolce in questo mare”.

A me la natura consola: guardo i fiumi, le montagne, le bestie e mi dico che in fondo io sono un piccolo segmento di questa immensa cosa che è la natura e mi piace perdermi dentro questo cerchio.

Come il personaggio del suo libro “Le cose che bruciano”: la soluzione, quindi, la fuga nella natura?

Il protagonista è un uomo anche abbastanza arrogante, che non ha più voglia di discutere e sceglie la via dei monti, dei boschi, della natura. È troppo comodo dare sempre colpa alla società: la società è un po’ opprimente, poi è doppiamente opprimente per chi ha l’abitudine di stare sui social.

La solitudine e il silenzio sono terapeutici. Naturalmente senza esagerare, senza pensare di dover vivere in convento però una dose di distacco, di silenzio, di riflessione, anche di ozio serve, aiuta.

Noi sui social media… che ne pensa?

Io capisco anche la pulsione che spinge l’anonimo a voler avere dei follower, anche se poi oggi… si comprano anche i follower, figuriamoci! L’anonimo facoltoso è più agevolato nella sua scalata verso la popolarità.

Però, ogni tanto mi chiedo: come faceva la gente un tempo a essere felice, quando su  un milione di persone, due diventavano importanti, famose o potenti? Si è un po’ troppo squilibrato il rapporto tra fama e vita individuale. Sembra che nessuno sia contento di essere quello che è, che nessuno trovi soddisfazione nella propria vita materiale: ci vuole comunque un piccolo palcoscenico sul quale esibirsi, verificare se qualcuno sa chi sei, se qualcuno ti applaude.

Ma dico io: ci sarà stato qualcuno al mondo felice di fare il pescatore o il viaggiatore o il pilota di aerei, perché gli piaceva farlo e la sua vita lo appagava? Sembra che la vita, quella normale, non dia più appagamento a nessuno e che tutti abbiano bisogno di una vita rappresentata, on stage e stiano a contare quanta gente approva e applaude. Ecco, la via diretta per l’infelicità è proprio questa.

L’Amaca di domani: come sarà? E come vorrebbe che fosse?

Dunque, l’Amaca di domani… la devo ancora scrivere… la scrivo di solito a fine giornata, dopo aver dato un’occhiata ai giornali, ai giornali on line: un attimo di raccoglimento nel quale scelgo l’argomento.

Per il domani mi piacerebbe poter scrivere delle Amache che riguardino un paesaggio totalmente cambiato. Mi piacerebbe che ci fossero degli avvenimenti sperabilmente vitali, positivi, ai quali guardare con uno sguardo emozionato. Qualche novità del genere: “Ma guarda che cosa bella sta succedendo!”.

Vorrei che cambiassero un po’ alcuni paradigmi che negli ultimi anni sono rimasti fissi, proprio anchilosati. Ad esempio è possibile che siano in così pochi a dire che il lavoro è un valore importante? E che gli operai non sono numeri? E che i lavoratori hanno sempre dignità e importanza? Ecco, l’amaca di domani: spero che possa parlare di cose buone, di valore.

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