Sbagliando si impara: come allenare i bambini all’errore

Ne abbiamo parlato con la dottoressa Rosanna Martin, psicologa psicoterapeuta dell’Ospedale pediatrico Meyer

«Sbagliare in prima persona, per allenarsi all’errore e alla frustrazione», vale sempre, soprattutto quando si parla di bambini e di piccoli “errori”. La dottoressa Rosanna Martin, psicologa psicoterapeuta dell’Ospedale pediatrico Meyer spiega perché è fondamentale che certe volte i grandi facciano un passo indietro.

Perché dobbiamo “permettere” ai bambini di sbagliare?

Quando parliamo di errore, mi viene in mente immediatamente la scuola dei miei tempi, con quel segno rosso nel quaderno che tanto incuteva terrore in proporzione alla quantità. L’errore però richiama anche l’ambito ludico, o lo sport, o l’attività del genitore che insegna al figlio ad andare in bicicletta senza le routine, tanto per citare un esempio. I genitori dovrebbero lasciare che i figli sperimentino le proprie capacità, anche sbagliando e, perché no, utilizzando il metodo scientifico, che funziona proprio per prove ed errori. Affrontare un compito nuovo, quindi potenzialmente fallimentare, è un passaggio inevitabile ed evolutivo. Fra i più importanti compiti del genitore vi è proprio quello di “allenare” i bambini alla frustrazione che segue all’errore e ancor prima far sperimentare l’errore. Riassumendo, bisogna considerare l’errore come sperimentazione di sé e delle proprie competenze, strumento di conoscenza delle proprie fragilità e passaggio importante per creare delle abilità.

Possiamo fare un esempio?

Da giovane psicologa in formazione, ricordo l’osservazione in una ludoteca durante la quale un bambino di circa due anni cercava di entrare in una macchinina a pedali e la mamma, vista la fatica del figlio, arrivò subito per aiutarlo. L’educatrice in modo gentile disse alla signora di lasciare pure che il bambino provasse da solo, a suo modo e con le sue fatiche. Così fece e dopo vari tentativi, il bimbo ci riuscì. Ricordo ancora il sorriso di soddisfazione e orgoglio del bambino come se dicesse: «Ce l’ho fatta da solo, sono stato bravo», è stato questo il risultato della sua esperienza.

Ci sono parole che un adulto dovrebbe evitare?

Trovare il vocabolario giusto non è semplice. Certamente, però, arrabbiarsi e criticare il comportamento del bambino quando sbaglia è sicuramente da non fare. Le parole hanno un peso importante: ecco perché dire “non capisci niente” o “sei proprio imbranato” significa minare nel profondo la stima di sé del bambino, che rimarrà così senza energie per migliorare.

Altre da preferire?

Incoraggiare e rassicurare il bambino sulla riuscita se saprà recuperare con volontà, con frasi del tipo: «Non è facile continuare a provarci quando ci si sente così scoraggiati. Ma se non mollerai, ti sentirai meglio».

C’è qualche “trucco” per correggere con misura?

Stare accanto al bambino senza sostituirsi a lui è fondamentale e molto difficile per un genitore. Il ruolo dell’adulto dovrebbe essere quello di spronare il bambino a fare da solo, utilizzando le proprie capacità – qualsiasi esse siano -, stimolandolo a dare il meglio e a credere in se stesso, senza aspettare che la risposta venga dall’altro. Credo che nella nostra società si ricorra troppo all’aiuto e al supporto ai bambini, come se non dovessero mai sperimentare difficoltà, incertezza o frustrazione per l’errore. Quindi il genitore deve fare un passo indietro, essere una presenza attenta, ma non giudicante, senza aspettative né pressioni sul risultato, e mettere la giusta dose di autorevolezza per insegnare il senso del dovere, oltre a quello del piacere.

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