Creare, creatività, essere creativi
Creare significa dar luogo a qualcosa che prima non esisteva, il suo contrario è distruggere, annullare. Giocherellando attorno alle parole, come spesso facciamo, vediamo che creare non può che alludere da subito a un ente divino, un motore primo, un principio che ha creato la terra, il cielo, l’uomo e tutte le creature, appunto, dal nulla.
Creare significa quindi far emergere dal Nulla, portare alla luce, conferire esistenza. Se la parola creatore l’abbiamo lasciata alla metafisica, creativo è colui che immagina ciò che gli altri non sanno immaginare. Oggi è un termine spesso usato anche in vari settori della comunicazione: dalla pubblicità alla promozione culturale, della moda, dell’arte…
Creatività è un termine spesso evocato come misteriosa dote che pochi posseggono. Tutti i bimbi volenterosi frequentano frizzanti laboratori creativi, ma se davvero dovessimo specificare con chiarezza cosa significa essere creativi, e se sia materia che si può apprendere, temo che tutti noi saremmo in difficoltà a trovare la risposta.
La zia di Carla è creativa… Mia sorella è sempre stata creativa mentre io ero più… Giovanna da piccola era creativa, poi…Non si intende, infatti, se essere creativi sia semplicemente essere estrosi, saper disegnare, avere a che fare con il bricolage o il découpage, oppure dar luogo a opere manuali, manufatti originali nati da un sapere artigianale, oppure se abbia a che fare con la sfera della produzione intellettuale.
Creare in teatro
Non importa, perché il teatro, di cui ci occupiamo, ha la fortuna di muoversi proprio tra questi due poli: mente e corpo, opera d’intelletto e mani, drammaturgie, poesia e marionette, burattini, pupazzi, macchinerie, tutti oggetti che ci parlano di laboratori, stoffe, legno e di un creatore che trasforma materiali inanimati in attori per la scena.
Il teatro di figura ancora fatica a trovare la sua giusta collocazione sul prestigioso palco del teatro di ricerca, eppure proprio nel nostro paese questo specifico settore del teatro è particolarmente vitale ed è spazio per reale innovazione e per la più audace sperimentazione.
Il teatro visuale di Marta Cuscunà
Come non pensare a Marta Cuscunà giovane e affermata artista di teatro visuale, nata a Monfalcone, formatasi alla Scuola Europea per l’Arte dell’Attore, dove incontra alcuni grandi maestri del teatro contemporaneo: Joan Baixas, con cui approfondisce i linguaggi del teatro visuale e José Sanchis Sinisterra, grazie a cui inizia a studiare drammaturgia.
Oggi fa parte del progetto Fies Factory di Centrale Fies all’interno del quale prosegue la sua attività di ricerca. Molti gli spettacoli che ricordiamo con entusiasmo, in particolare la trilogia “Resistenze femminili” che ci racconta fin dal titolo come Marta abbia saputo abbinare la sua attività di ricerca artigianale, dai pupazzi alle creature meccaniche, con tecnologia animatronica, al teatro di denuncia civile. In particolare l’artista friulana ha saputo raccontare la donna, la forza che nasconde, la violenza che subisce e la resistenza che sa attuare.
“L’inchiesta. Il femminismo, che roba è?” della semiologa Giovanna Cosenza – da cui Cuscunà ha voluto partire per creare il suo progetto, come racconta lei stessa – ruota intorno a un quesito di cruciale importanza: se è vero, come dimostrano i dati economici, che in Italia le donne sono subalterne agli uomini (in quanto lavorano meno, guadagnano meno e sono meno rappresentate), perché non si ribellano come fecero le femministe?”
I tre spettacoli, È bello vivere liberi, La semplicità ingannata e Sorry boys provano a rispondere a questa domanda. Cuscunà è sola in scena, e dà voce e vita alle sue creature di pezza, carta, ferro, stoffe, di volta in volta più elaborate, con personalità più definite e sempre più stupefacenti perché animate da sofisticatissime tecnologie che, come si legge nella scheda artistica de Il Canto della Caduta, “scardinano l’immaginario poiché la loro movimentazione si basa su tecnologie applicate in animatronica e sull’utilizzo di componentistica industriale per realizzarle. Il dispositivo produce la movimentazione di un sistema complesso di leve a cavo attraverso dei joystick meccanici manovrati dalle mani di un’unica attrice“.
Le marionette della Compagnia Carlo Colla & Figli
Se l’opera di Cuscunà va nella direzione della ricerca più sorprendente, la storica Compagnia marionettistica Carlo Colla & Figli invece si occupa di custodire e sottrarre all’oblio l’antica e raffinatissima arte della costruzione delle marionette.
Impressionante e meraviglioso il laboratorio milanese della compagnia che ricostruisce la sua storia a partire già del XVIII secolo. Bellissimi video sul sito (https://marionettecolla.org) ci permettono di osservare mani sapienti che creano dal legno piccoli attori solo apparentemente senza anima, che sapranno interpretare testi importanti.
Nel repertorio dei Colla, infatti, figurano grandi classici per i bambini e non solo come Pinocchio, ma anche allestimenti di grande impegno come L’Italiana in Algeri di Rossini o addirittura la Divina Commedia. Vestitini, accessori, gioielli, scarpine, cappellini, ombrellini… e poi fondali, scenografie, oggetti, mondi… I magazzini della Compagnia sono un universo in cui riposano, in ordine rigoroso, migliaia di personaggi, materiali, allestimenti e la storia del teatro di figura italiano.
Era il marzo 2017 quando, per Pistoia capitale della Cultura, andò in scena al Teatro Manzoni il dramma burlesco datato 1668 con musica di Jacopo Melani su libretto di Filippo Acciaiuoli, con allestimento della Compagnia Marionettistica Carlo Colla & Figli. L’opera imponente e meravigliosa si conclude con un colpo di teatro difficile da scordare, agli applausi finali si svela il prodigio, l’artificio: a sipario aperto cala il cielo e le agili marionette, così vive da credersi creature animate, si scoprono appese alle abili mani di chi le ha mosse per tutto lo spettacolo. E gli spettatori attoniti in platea assistono alla rivelazione della verità che avevano voluto dimenticare: tutto è finzione, le marionette non sono vive, ma esseri inanimati.
Altre esperienze: dal Teatro Medico Ipnotico di Patrizio dell’Argine al docupuppets di Fabiana Iacozzilli
Ispirato alle discipline orientali del teatro delle ombre, debitore alle maschere della Commedia dell’Arte, prossimo alle magiche tecniche di animazione di esseri inanimati: statue, cadaveri, mostri e golem… Il teatro di figura in fondo risponde all’antico desiderio di saper dare vita a ciò che vita non ha. Sostituirsi al Creatore. Estremo desiderio, suprema tracotanza dell’uomo che cerca sempre l’ultimo limite da superare, nuove Colonne d’Ercole da varcare.
Patrizio dell’Argine con i burattini del suo Teatro Medico Ipnotico, maestri burattinai come Luca Ronga, Unterwasser e il loro accuratissimo uso di sagome di fil di ferro e giochi di luce/ombra, Zaches e le loro sculture danzanti e vive, Fabiana Iacozzilli, di cui ancora ricordiamo La Classe, capolavoro con pupazzi e esseri umani…
Molti altri sarebbero i nomi e i percorsi di ricerca che non possiamo qui ricordare per ragioni di spazio, artiste e artisti che ci convincono sempre più di quanto il teatro figura, creazione suprema e magica, tra la sapienza antica di tecniche tradizionali e la sperimentazione più audace, si sia conquistato un posto di diritto tra gli ambiti più interessanti e vitali del teatro del nuovo millennio.
(a cura di Laura Croce)