Sepsi e la resistenza agli antibiotici

Quante volte abbiamo sentito dire dalle nostre nonne quando le donne partorivano in casa: «Poverina, è morta di parto!». Nella maggior parte dei casi si trattava di un’infezione non curata che si era tramutata in setticemia, cioè sepsi.

Purtroppo, i dati confermano che il numero di ricoveri ospedalieri in Toscana per sepsi dovuti a più cause sono in aumento, con grave pericolo per la nostra salute. Perché se non viene riconosciuta nel giro di poche ore e trattata adeguatamente, mette a rischio la vita.

Ogni agente infettivo può potenzialmente causare la sepsi. La resistenza agli antibiotici è il fattore determinante maggiore della mancata risposta al trattamento e della rapida evoluzione verso la sepsi e lo shock settico.

I numeri della sepsi

Questa patologia è dunque un’emergenza sanitaria come l’infarto del miocardio, l’ictus, il trauma o l’ustione grave. Si stima che la sepsi colpisca più di 30 milioni di persone in tutto il mondo ogni anno, con circa 6 milioni di morti e con maggiore incidenza nei Paesi a medio e basso reddito.

Ma, anche nel nostro Paese, la sepsi può essere la manifestazione clinica delle infezioni acquisite sia in comunità che in ospedale o in altre strutture sanitarie come le Rsa, le riabilitazioni o le lungodegenze.

Quando chiamare il 118

Si deve chiamare il numero d’emergenza se:

  • il battito è molto veloce
  • il respiro è velocissimo
  • la febbre è oltre 38,6° C oppure la temperatura scende sotto i 36° C
  • la pelle e le unghie sono bluastre
  • non si riesce a svolgere le attività consuete
  • se le persone non capiscono cosa si sta dicendo
  • eventuali ferite sono doloranti, rosse, con cattivo odore e piene di pus

Serve consapevolezza: un’infezione può complicarsi nella sepsi, che in poche ore mette in pericolo la vita. Cittadini e sanitari insieme, se consapevoli, potranno salvare molte persone dalla morte e da gravi invalidità.

La prevenzione

Venendo alla prevenzione, occorre in primo luogo ostacolare la trasmissione microbica dell’infezione. Poi prevenire l’evoluzione dell’infezione verso la condizione di sepsi.

Nelle comunità, determinante è l’uso di un’igiene efficace, mediante pratiche come il lavaggio delle mani, la preparazione sicura del cibo, il frequente cambio di asciugamani, il miglioramento della qualità dell’acqua e della disponibilità di accesso ai vaccini, particolarmente per tutti i gruppi di persone ad alto rischio, così come un’appropriata nutrizione, incluso l’allattamento al seno dei neonati.

La cura

Dopo il precoce riconoscimento, è necessario identificare l’agente patogeno responsabile dell’infezione, per permettere l’uso mirato degli antibiotici. Per questo serve la diagnostica microbiologica attraverso l’emocoltura, ovvero la coltivazione dei batteri nel sangue.

La resistenza agli antibiotici può mettere a rischio il trattamento clinico della sepsi perché, a causa della ristrettezza dei tempi a disposizione, è spesso richiesto il trattamento empirico. Una volta che la sorgente dell’infezione viene identificata, tenerla sotto controllo diventa indispensabile,. Oltre alla terapia antibiotica mirata, è molto importante la precoce rianimazione con liquidi in vena.

Un ringraziamento a Giorgio Tulli, già direttore del Dipartimento delle terapie intensive e medicina perioperatoria dell’Azienda sanitaria fiorentina e consulente dell’Agenzia regionale di sanità toscana

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