Specie aliene: conigli, tacchini e pecore

Animali a noi vicini con origini lontane da noi. Ne abbiamo parlato con Piero Genovesi, responsabile per Ispra della conservazione della fauna e del monitoraggio della biodiversità, autore del libro "Specie aliene"

Ebbene sì, i conigli (Oryctolagus cuniculus) e i tacchini (Meleagris gallopavo) rientrano nell’elenco delle specie aliene, ossia quegli organismi, animali o vegetali, che non sono originari di un determinato ambiente, ma che vi sono stati introdotti, intenzionalmente o accidentalmente, dall’uomo. Piero Genovesi, responsabile per l’Ispra della conservazione della fauna e del monitoraggio della biodiversità, nel suo libro Specie aliene (ed. Laterza), sottolinea che su 37mila specie aliene conosciute nel mondo, solo 3500, poco meno del 10%, causano impatti negativi e vengono definite invasive.

Quindi molte delle cosiddette specie aliene non causano danni e anzi «hanno ricoperto un ruolo fondamentale per la nostra vita e pensarle solo come nemiche è sbagliato e fuorviante, perché senza di loro non sarebbe stato possibile lo sviluppo delle società umane come le conosciamo oggi – spiega l’autore -. Il coniglio, per esempio, originario della Spagna e del Portogallo, dove viveva in ambienti boschivi e collinari, è stato introdotto in Italia fin dal periodo romano. Il tacchino, invece, proviene dal Nord America e nel XVI secolo è stato portato in Europa, dove si è diffuso rapidamente».

Per terra o per mare

Anche le galline che conosciamo sono una forma domestica selezionata in antichità dal gallo bankiva, un uccello selvatico che ancora oggi vive nelle foreste alle pendici dell’Himalaya. Il nome scientifico è inequivocabile: Gallus gallus. «Mentre la pecora – aggiunge lo scienziato – fu selezionata dal muflone selvatico dell’Asia sudoccidentale circa diecimila anni fa e trasportata nel Mediterraneo dai primi navigatori».

A spostare molte specie a bordo delle loro imbarcazioni furono proprio i navigatori europei, presi dalla frenesia di esplorare ogni angolo del pianeta, «utilizzando strumenti che a noi oggi sembrano primitivi – racconta nel libro Genovesi -, correndo rischi altissimi, incontrando mondi e culture a loro prima sconosciuti. I primi a solcare gli oceani furono i portoghesi, che nel 1418 cominciarono l’esplorazione dell’Africa occidentale, seguiti nel corso dei secoli da spagnoli, inglesi e olandesi». Insieme all’equipaggio venivano caricati come derrate alimentari semi, animali e piante.

Un esempio per tutti, che spiega il trasporto di specie, è stata la colonizzazione dell’Australia. Non era pensabile per i coloni fare affidamento solo sulle risorse locali. Mangiare frutti e bacche sconosciute era pericoloso, poiché in Australia ci sono almeno 1000 piante velenose. Ecco perché le risorse venivano portate da casa.

La storia del baco da seta

Le specie esotiche ci sono state utili nel corso dei millenni, anche per la produzione di medicinali, spezie e profumi. «O anche tessuti, come nel caso della seta – aggiunge lo scienziato – che è stato possibile produrre in Europa solo attorno al 550 d.C., quando due monaci dell’ordine di San Basilio portarono dalla Cina le uova del baco da seta, trasportandole fino a Bisanzio, dentro il cavo dei loro bastoni di bambù. La seta ha avuto un’importanza fondamentale per l’economia di molti Comuni italiani, tanto che il nostro Paese nel XII secolo divenne il maggior produttore in Europa».

In molti casi, l’introduzione di specie aliene avviene ancora oggi senza una consapevolezza adeguata dei rischi, e spesso, una volta che sono diventate invasive, è molto difficile fermarle. Basta pensare all’ormai famoso granchio blu e allo scoiattolo rosso.

«Conoscere meglio le strade delle invasioni – conclude Genovesi – ci può aiutare a mettere in atto misure di contenimento e prevenzione».

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