Contro il muro del silenzio

Coop rilancia la campagna “Il silenzio parla” e dà voce agli uomini che hanno visto o vissuto la violenza. Fra le testimonianze, anche quella di Marco, orfano di femminicidio

«Mi chiamo Marco, ho 35 anni, e la mia vita è stata una lunga tempesta silenziosa. Nessuno parlava di quello che accadeva a casa nostra, ma tutti sapevano. Mio padre era un uomo che lavorava duramente, che mi portava al parco la domenica e che rideva a tavola. Ma lentamente, le sue urla hanno cominciato a farsi strada nelle nostre giornate. Prima erano discussioni come tante altre, poi sono diventate più frequenti, più violente. Mia madre cercava di proteggermi, ma io vedevo tutto. Anche se ero solo un ragazzino, capivo. Capivo che quella casa, che doveva essere una sicurezza, si stava trasformando in una prigione.

Gli anni sono passati, e la paura ha preso il posto di ogni certezza. Ci sono stati anni in cui mio padre controllava ogni passo di mia madre. Dove andava, con chi parlava, cosa faceva. Le sue parole diventavano sempre più affilate, fino a costruire una gabbia invisibile che imprigionava tutti, mia madre e me, senza via d’uscita. Lei tentava di difendersi, di nascondere le ferite dietro un sorriso stanco, ma sapevo che la situazione stava peggiorando giorno dopo giorno. Ho visto la paura negli occhi di mia madre. Quella paura che si nasconde dietro i gesti quotidiani: la tazza di caffè versata in silenzio, la porta chiusa con troppa cautela, lo sguardo abbassato per evitare la violenza di mio padre. Ogni giorno che passava, quella violenza cresceva, come un veleno che si diffondeva lentamente nelle nostre vite, soffocandoci lentamente.

Poi è arrivato il giorno che non dimenticherò mai. Non c’è stato più solo il dolore nascosto nelle parole o nei gesti. C’è stata la fine di tutto, come avevo sempre temuto che accadesse. Mio padre ha messo fine alla vita di mia madre in pochi, terribili secondi. Io ero lì. Bloccato. Paralizzato. Troppo tardi, troppo inutile. Non ho potuto fermarlo. Come figlio, non sono riuscito a proteggere la persona che amavo di più. Non sono riuscito a salvarla.

Ora, mi chiamano un “orfano speciale”, uno di quei figli che vedono tutto e non possono fare nulla. Porto con me il peso di una colpa che non mi appartiene. Lo so, non potevo fare di più. Eppure, ogni giorno mi chiedo se avessi potuto cambiare qualcosa, fermare quella mano. Tutti mi dicono che non avrei potuto fare di più, che ero solo un figlio.

Essere un orfano speciale significa vivere con il silenzio assordante di chi non c’è più, sentirsi solo, perso, circondato dal rumore costante dei “se solo”. Se solo avessi detto qualcosa prima. Se solo avessi cercato aiuto. Se solo avessi capito prima quanto fosse grave. Ma la verità è che la violenza ti avvolge lentamente, ti toglie la lucidità, ti fa pensare che domani sarà diverso, che tutto si risolverà. E invece non si risolve mai. Quando ero bambino, credevo che l’amore fosse tutto ciò di cui avevamo bisogno per sistemare le cose. Ma ho imparato che quando è violenza, essa ti consuma lentamente, ti toglie la speranza, giorno dopo giorno. Ho dovuto affrontare il trauma di anni di violenza, il dolore della perdita, e le difficoltà di ricostruire una vita senza più un punto di riferimento.

Ora che sono adulto, la mia voce è una delle poche cose che mi resta. Non posso cambiare il passato, ma posso raccontarlo. Posso ricordare alle persone che la violenza non finisce mai con un solo atto. Cresce nel tempo, si insinua nelle vite di chi ne è testimone, lasciando cicatrici che non guariranno mai completamente. Questa storia non è solo mia. Ci sono tante persone che vivono anni di violenza nascosta dietro le mura di casa, con la paura che un giorno possa essere troppo tardi. Io sono qui per dire che la violenza non si ferma da sola. Se vedete qualcosa, se sentite qualcosa, non restate in silenzio. Non pensate che sia solo un’altra lite. Ogni giorno perso potrebbe essere l’ultimo. Agite. Prima che sia troppo tardi, prima che un’altra vita venga spezzata».

I numeri della violenza

Dall’inizio del 2024 all’8 ottobre l’Osservatorio Non una di meno conteggia 93 femminicidi in Italia, di cui 8 in Toscana: un fenomeno trasversale che tocca tutte le fasce sociali, le età e non conosce distinzione geografica. In Toscana, nel 2009, è nata l’esperienza pilota del Codice Rosa, un percorso di accesso al Pronto Soccorso riservato in particolare a donne, bambini e persone discriminate. Negli anni il progetto è stato esteso a tutto il territorio regionale. Grazie alla rete del Codice Rosa, nel 2023 sono state accolte 2302 persone, di cui l’81,5% donne e 400 minori. Dal suo avvio ad oggi ha offerto protezione a oltre 30mila vittime di violenza e crimini d’odio. Nei prossimi anni l’esperienza del Codice Rosa si arricchirà con servizi specifici per i crimini d’odio.

regione.toscana.it/-/codice-rosa

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