A Santa Croce sull’Arno alunni provenienti da cinquanta Paesi

Dalla testimonianza di Giovanni Taddei, per oltre trent'anni manager del settore turistico oggi bidello

C’era una volta… e c’è ancora a Santa Croce sull’Arno (PI) uno dei distretti industriali più importanti d’Italia, quello del cuoio. Nel corso dei decenni, in base alle fasi alterne del mercato, ha richiamato manodopera da tutte le parti del mondo.

Si contano oggi 50 provenienze diverse: lavoratori e lavoratrici dal centro e dal nord dell’Africa, da molti Paesi dell’Europa orientale, dal sud del continente americano, dall’Asia: Cina, India, Pakistan, Bangladesh… Un’immigrazione che è stata integrata in questa terra già “di mezzo” (un po’ pisana, un po’ lucchese e un po’ fiorentina) con senso di convenienza e spirito d’accoglienza.

Un’immigrazione che, nelle scuole locali, ha creato laboratori socioculturali di grande interesse e rilevanza. L’Istituto Comprensivo di Santa Croce sull’Arno, per esempio, vanta quattro plessi della scuola primaria, con bambini e bambine dai sei ai dieci anni. Due di queste, la Carducci e la Copernico, ogni giorno educano più di duecento studenti originari di oltre cinquanta Paesi del mondo, alcuni nati a Santa Croce, altri arrivati da pochi mesi.

Di realtà così, in Italia, ce ne sono due o tre, non di più.

Lo spunto per raccontare questa storia ce lo dà Giovanni Taddei, per oltre trent’anni manager del settore turistico, che dopo il periodo complicato della pandemia ha riacciuffato una domanda di lavoro inviata nel secolo scorso e che gli è servita, oggi, per reinventarsi bidello in una di queste scuole. E Il bidello è il titolo del suo ultimo romanzo, con finale a sorpresa e da leggere con sottofondo blues, pubblicato da La Conchiglia di Santiago, editore colto ed eclettico della vicina San Miniato: «Dopo aver portato per decenni persone in ogni parte del mondo (spesso anche attraverso gite organizzate per i soci Coop), una mattina mi son ritrovato a vedere entrare dal portone della scuola bambini e bambine arrivati da tutto il mondo. Un’iniezione di umanità e vitalità, nonostante tutti i problemi, ovvi, che ci possono essere. Il bambino è quella parte di noi non viziata e corrotta, libera da pregiudizi e sovrastrutture: ogni giorno c’è da imparare qualcosa. Ed eccezionale è il corpo docente, in continua formazione per lavorare nel migliore dei modi in un contesto così complicato. Ho visto immagini bellissime, di collaborazione e gioco tra bambini che non parlano ancora la stessa lingua, magari con l’aiuto di altri bambini impegnati a fare da traduttore. I problemi non mancano, fondamentale, ad esempio, è trovare gli spazi per le lezioni della materia alternativa all’ora di Religione, ma una soluzione si trova sempre, perché chi lavora qui è “in missione per conto di Dio”» come dicono, nell’omonimo film, i Blues Brothers ad Aretha Franklin quando vanno a cercare il di lei marito, Matt Guitar Murphy, per riportarlo a suonare nella loro band – citazione che Taddei sceglie come incipit del suo romanzo.

Perché, c’è da immaginarselo, non son tutte rose e fiori.

Eh no, prosegue il bidello-manager-scrittore: «I problemi ci sono, i conflitti non mancano, come succedeva a noi quando s’andava a scuola. Ma non ho mai sentito un litigio che comprendesse offese legate alla lingua, alla cultura o al colore della pelle dell’altro, loro si sentono tutti italiani e santacrocesi. L’unica differenza con i bambini di un tempo è che noi non vedevamo l’ora che suonasse la campanella. Loro, invece, restano volentieri a studiare e a giocare qui per tutto il pomeriggio. E anch’io, che quest’anno sarei potuto andare in un assai più tranquillo istituto superiore, ho scelto di restare qui».

Non si scherza con le missioni per conto di Dio. E nemmeno con un impiego che ti stimola a lavorare per un mondo più bello e più giusto.

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