È possibile declinare l’8 marzo, la festa della donna, insieme ad una ricerca sulla scuola elementare in Provincia di Arezzo durante il periodo fascista?
È quanto si propone di fare il volume di Lorenzo Piccioli, Maestre e fascismo. Propaganda e realtà nelle Cronache scolastiche tra le due guerre in Provincia di Arezzo, introduzione di Fabio Bertini (Firenze, Aska, 2021, pp. 160).
La realizzazione è stata sostenuta dal Comitato 8 Marzo 25 Novembre del Valdarno, di cui fanno parte le sezioni soci Coop di Montevarchi e San Giovanni Valdarno insieme a numerose realtà del territorio.
La ricerca
Le protagoniste della ricerca infatti sono 4 maestre e una bambina di 12 anni che frequenta la quinta elementare, e le vicende narrate si snodano in un periodo che va dal 1927 al 1940. Tutte le scuole descritte sono “scuole miste rurali” ai confini tra il comune di Arezzo e le valli, e il tipo di documenti riprodotti sono Cronache scolastiche e Relazioni, nonché quaderni di scuola elementare reperiti presso l’Archivio di Stato di Arezzo.
In particolare le Cronache scolastiche, che furono rese obbligatorie dalla riforma Gentile del 1923, sono risultate una fonte preziosa, poiché grazie ad esse, ed altri documenti che l’insegnante era tenuto a compilare, emerge la “scuola reale”, e non quella propagandistica del regime. Infatti come denunciano apertamente le maestre nelle loro relazioni, dopo venti anni di governo di Mussolini, nella scuola del Duce mancava tutto, dalle palestre alle aule, dai sevizi igienici alle cattedre, al più comune materiale scolastico. Vi è descritto anche l’incredibile episodio di una scuola senza riscaldamento a cui il fascio locale dona un braciere che rischia di soffocare, a causa delle esalazioni, alunni e maestra.
Ma emerge anche tutto il paternalismo del regime in occasioni come la cosiddetta “befana fascista” resa possibile dalla carità di una nobildonna locale, o come per la saltuaria introduzione della refezione scolastica.
L’idea alla base del volume non è solo mostrare il processo di “fascistizzazione” della personalità di bambini e bambine attuato dagli strumenti della propaganda, ma soprattutto porre in evidenza il “disastro educativo” rappresentato da venti anni di dittatura fascista, attraverso i documenti ufficiali della scuola.
Documenti da cui emerge, come protagonista indiscussa la figura femminile della maestra, che progressivamente si trova inserita in una organizzazione di tipo gerarchico-autoritario che tende a omologarla agli obiettivi propagandistici del regime. Non tutte le maestre tuttavia sono disposte a piegarsi di fronte ai soprusi ed alle vessazioni dei loro dirigenti scolastici, come nel caso della prima maestra descritta da Piccioli.
Colpita da un gravissimo lutto familiare, la morte prematura di un figlio, il “reato” da essa compiuto è aver criticato il podestà fascista in merito al reperimento delle aule scolastiche. A seguito di ciò, inizia una vera e propria persecuzione da parte del Direttore della scuola, che si sostanzia in una serie di provvedimenti disciplinari, a base di multe e sospensioni dal servizio.
Ma la cosa davvero sorprende, considerato il periodo storico e il modello di scuola autoritario allora vigente, è che la maestra non si piega e ribatte colpo su colpo, difendendo la propria professionalità di insegnante che il Direttore voleva calpestare. E, cosa ancora più importante, dimostra un sincero attaccamento ed affetto nei confronti dei propri alunni, ragazzi di estrazione contadina che rappresentavano le vittime predestinate di una didattica fondata sulla selezione classista e sociale.
Oltre alla presenza delle maestre, la ricerca sulla scuola elementare fascista, ci mostra, come detto, la figura di una studentessa di 12 anni, i cui quaderni scolastici sono stati trovati dall’Autore presso l’Archivio di Stato di Arezzo. La curiosa scoperta deriva dal fatto che il padre della bambina, un piccolo gerarca di provincia, usava l’inconsapevole figlia per scrivere lettere anonime contro i propri avversari politici. Grafia infantile delle lettere che però non era sfuggita alle forze dell’ordine, che scoperta la cosa, sequestrarono tutte il materiale scolastico, e che grazie a ciò è giunto fino a noi.
I quaderni scolastici risultano di grande interesse per due motivi fondamentali. Prima di tutto mostrano come nella realtà funzionasse l’indottrinamento delle giovani menti, attraverso un calendario scolastico ove prevalevano adunate, parate, celebrazioni (dalla marcia su Roma alla fondazione dell’impero), e dettati, temi, composizioni scolastiche dedicate al Duce e al fascismo. Si pensi che fin dalla prima elementare era obbligatorio studiare una materia che si chiamava Cultura fascista, e che il libro di testo, il «sussidiario», era prodotto direttamente dallo Stato, e non dai privati. Anche la parte grafica del volume, permette in parte di apprezzare questo aspetto eminentemente politico e propagandistico.
L’altro elemento, altrettanto interessante, è rappresentato dalla dimensione esistenziale che emerge dai temi della studentessa, che descrivono la vita sociale di un borgo di campagna. La messa domenicale, i balli delle ragazze, ma anche le botte del padre a causa di piccole infrazioni. E la tragedia di una compagna di scuola che muore affogata in Arno durante una gita scolastica, episodio censurato dal regime, e che viene cancellato anche dai quaderni.
In conclusione, il volume sulle maestre in provincia di Arezzo è parte di una ricerca più vasta intrapresa dall’Autore sul fascismo aretino, e si propone di rappresentare un punto di vista storiografico contrario al diffuso revisionismo e sdoganamento del fenomeno fascista che grazie ad una sempre più ampia “pubblicistica”, cerca di proporre un’immagine positiva ed edulcorata di Mussolini e del regime.