Ricordi sui banchi

Gli anni dello studio raccontati da quattro personaggi toscani

Luigi Dei

professore ordinario di chimica all’Università degli Studi di Firenze di cui, dal 2015, è Rettore

Qual è il primo ricordo della scuola che le viene in mente?

«Col grembiulino nero e fiocco azzurro, in fila per due, classe rigorosamente solo maschile, sul marciapiede che conduce al Cinema Stadio, di fronte alla Curva Fiesole dello Stadio Comunale non ancora Artemio Franchi. Dove ci portava l’unico maestro che insegnava tutto? A vedere un documentario sul vaccino Sabin, quello contro la poliomielite. E alla fine, ordinatamente, tutti in coda per salire, due a due, sul furgone bianco con la croce rossa a prendere le due magiche goccioline sullo zuccherino».

Che tipo di studente era?

«Per otto anni, elementari e medie, diligente, abbastanza pronto verso l’apprendimento, ho vissuto lo studio alla stregua di un gioco enigmistico da risolvere, una sorta di battaglia navale col sapere.  Poi, al ginnasio e al liceo, troppo distratto da quel mondo attorno in turbinante fermento: la mia parola d’ordine era tesorizzare al massimo le ore in aula per studiare il meno possibile a casa e dedicarmi a seguire quei moti apparentemente rivoluzionari e quel rock che vi danzava intorno».

 

Marco Vichi

scrittore

Qual è il primo ricordo della scuola che le viene in mente?

«Quando presi a calci negli stinchi suora Adorna del Collegio alla Querce, la maestra della prima elementare… perché voleva mandare via mia mamma, che io invece volevo avere sempre davanti alla porta aperta della classe».

Che tipo di studente era?

«Ero uno studente strano, usando due citazioni posso dire, con William Saroyan: “Mi piaceva studiare, ma non mi piaceva la scuola”, e con Leo Longanesi: “Tutto quello che NON so l’ho imparato a scuola”».

 

Lorenzo Baglioni

cantautore

Qual è il primo ricordo della scuola che le viene in mente?

«Le infinite ricreazioni delle scuole elementari. È proprio un ricordo meraviglioso, uno dei momenti più importanti dello stare a scuola. Di grande crescita. S’impara a stare insieme; a relazionarsi con gli altri».

Che tipo di studente era?

«Molto vivace. Già al tempo mi piaceva intrattenere e divertire i miei compagni. Però ero anche molto volonteroso. Mi applicavo fino al punto di saper bene le cose. Non sono mai andato, a lezione, impreparato».

La scuola che vorrebbe

«L’ultimo disco è proprio una provocazione nei confronti della scuola. Mi piacerebbe ci fosse una didattica un po’ innovativa con uno sguardo verso il futuro. Verso le nuove tecnologie. Non necessariamente ciò che è vecchio è migliore! Ecco forse la scuola ha bisogno di essere modernizzata un po’. Non è facile, però si possono fare dei cambiamenti. Per esempio nell’insegnamento della matematica: è sempre vista come una materia noiosa mentre è straordinariamente affascinante».

 

Cecilia Laschi

professore ordinario di bioingegneria industriale all’Istituto di Biorobotica della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa

Qual è il primo ricordo della scuola che le viene in mente?

«E’ legato proprio al mio primo giorno di scuola. Ricordo ancora che la maestra ci scrisse alla lavagna Il sole esce dalle nuvole (ai miei tempi  la scuola cominciava il I ottobre) ed io tornai a casa orgogliosa di aver scritto una frase così. E in fondo la scuola è  imparare a fare qualcosa che prima non si sapeva fare!».

Che tipo di studente era?

«Beh sì ero una che studiava. Non mi definirei una secchiona, ma davvero studiavo molto. Avevo un forte senso del dovere. Ricordo che tornata a casa tendevo a togliermi subito il pensiero dei compiti, per essere poi libera di godere delle altre attività giornaliere, come per esempio fare sport».

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