«Si chiama Liberamente ed è una scuola, un progetto aperto a tutti: spero che vengano in tanti, dall’anziano ultraottantenne al quattordicenne, dall’alunno portato dall’insegnante al professionista che sa usare le parole, a chi viene solo per curiosità».
Da appena un mese alla direzione artistica del Teatro della Toscana, Stefano Massini parte con un invito collettivo: una grande scuola popolare gratuita di scrittura, sostenuta anche da Unicoop Firenze. Drammaturgo, scrittore, narratore sul palco e in tv, da Firenze, dove è nato, ha conquistato fama internazionale, tanto da essere il primo italiano a vincere un Tony Award, l’Oscar del teatro americano, ritirato a giugno 2022 a New York.
Il suo nuovo incarico da direttore artistico del Teatro della Toscana, che comprende il Teatro della Pergola e il Teatro di Rifredi a Firenze e l’Era di Pontedera (PI), segna una nuova stagione in cui il teatro spalanca le porte ed esce dai suoi confini.
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Perché ha scelto di intitolare il progetto “Liberamente”?
Perché è una scuola a porte aperte, un grande spazio di libertà: non è un corso per scrittori o aspiranti tali, niente a che fare con l’esame, il compito in classe o l’esercizio di bella scrittura. È un’occasione rivolta a chi ha voglia di scrivere, senza obblighi e senza voti. Non c’è alcun requisito necessario. Unico imperativo, venire con la mente libera, appunto: senza pregiudizi o preclusioni.
Come si svolgeranno gli incontri?
Ad ogni incontro lancerò degli stimoli su cui scrivere dei testi di due-tre righe al massimo. Pensando alla scuola di scrittura si immagina di andare a scrivere un tema, una poesia. Qui faremo tutt’altro: scriveremo cose molto brevi, perché più piccolo è il testo, più concentrato è il senso. Più parole usiamo, più disperdiamo informazioni, questo vale anche nella vita. L’obiettivo è tirare fuori in poche parole quello che abbiamo dentro.
Il primo ciclo di incontri ha come tema la paura. Perché?
La paura è qualcosa con cui facciamo i conti dal momento in cui le barriere cadono. Chi ha la mia età se lo ricorda: c’erano le frontiere, le dogane, dei confini definiti, e tutto questo rassicurava perché era il perimetro della nostra identità. Poi è caduto tutto: possiamo connetterci con chiunque sul pianeta, ma questa libertà ci dà un’enorme paura di perdere noi stessi. La paura riguarda tutti, è il grande sentimento collettivo di questi anni; quindi, proviamo a guardarla in faccia e ragionarne.
Cosa si aspetta da questi incontri?
Dagli incontri verrà fuori una sintesi di emozioni, sensazioni, tante voci singole che parleranno la lingua di una comunità. Trovarsi tutti quanti la domenica mattina a scrivere è insolito e stimolante: sarà divertente, una bella emozione. Stare insieme non usa più e questo, invece, sarà uno spazio dove trovarsi per ascoltare, dialogare e uscire diversi, sentendo di aver dato il proprio contributo.
La parola popolare cosa vuol dire oggi?
È una bella parola: popolo è una parola bellissima. Il popolo è tutto, non esclude nessuno e dal primo all’ultimo accoglie tutti. Martin Luther King diceva che una comunità ha ragione d’essere soltanto nel momento in cui ognuno svolge consapevolmente il proprio compito, di qualunque tipo sia. C’è bisogno di tutti: ognuno di noi fa la differenza e, al tempo stesso, vive del contributo di tutti.
Perché ritiene importante che le persone sappiano scrivere? In realtà oggi molti scrivono e pochi leggono…
La scrittura è un esercizio di coraggio che implica una distanza dalle cose: quando scrivi qualcosa, devi guardare le tue emozioni, i sentimenti. Scrivere è dare un nome alla vita interiore: questo ce lo dice anche la psicoanalisi e, fra i tanti, Freud ad esempio. Quando riesci a raccontare qualcosa, non ne hai più paura.
A proposito di paura, un messaggio per i giovani che si affacciano a un mondo così complesso?
Solo uno: non abbiate paura della paura. Non mettetevi le bende: andate nel mondo, scopritelo con i vostri occhi. Come si dice in Toscana: il diavolo è sempre meno brutto di come lo si dipinge. Quindi non chiudetevi, che la paura viene non dal conoscere, ma dall’ignorare.
Nella sua visione, il teatro non è per una élite, ma esce dai suoi confini: per andare dove?
Io sono totalmente convinto che il teatro possa entrare ovunque: abbiamo un’idea spiacevolmente alta del teatro che invece è molto bello provare a smontare. Sono insediato da poco alla Pergola ma sono già al lavoro per stringere collaborazioni e realizzare questa idea di teatro che può andare fra la gente, entrare anche in carcere o in ospedale, nei luoghi della comunità.
Se il teatro può andare ovunque, può entrare anche in un supermercato, luogo di tutti e per tutti. Che ne pensa?
Il supermercato, perché no? È lì che si comprano le cose da mangiare, il cibo, la materia prima per l’esistenza. E in fondo anche la cultura è un cibo: la parola cultura, viene dal latino colere, che significa coltivare e quindi cibarsi. In questi luoghi, carichi di vita e di persone, il teatro è totalmente a suo agio.
Citando il maestro Claudio Abbado, «la cultura permette di distinguere fra bene e male, di giudicare chi ci governa»: per lei, a cosa serve la cultura?
Paolo Grassi e Giorgio Strehler, quando fondarono il Piccolo a Milano, dicevano che la cultura è un servizio alla persona: la cultura serve a vivere meglio. Serve ad acquisire strumenti, a formarsi per leggere cosa accade intorno e dentro. Chi va a teatro o legge un libro ha parole in più per raccontare il proprio stato d’animo, per stare in relazione con gli altri, per comprendere se stesso.
Qualcuno potrebbe dire che con la cultura, però, non si mangia…
Siamo proprio sicuri che sia così? Viviamo in una città, Firenze, che invece dimostra l’opposto. Se non ci fosse la cultura, Firenze, la Toscana, l’Italia cosa sarebbero? È una delle più grandi menzogne quella secondo cui con la cultura non si mangia: ho sempre creduto invece in un aspetto popolare e anche pop della cultura. Quando i lettori dell’Informatore vedranno la mia foto, qui, su questa pagina, si ricorderanno di me sul palco del Festival di Sanremo 2024. E io ne vado fiero perché ci sono andato raccontando una storia di morti sul lavoro, con Paolo Iannacci, ascoltata da 16 milioni di telespettatori. Se vado a Sanremo, lo faccio perché credo che la cultura debba raggiungere tutti. La differenza sta in ciò che fai e cosa racconti.
Liberamente. Quando, dove e come partecipare
Il primo ciclo di incontri di Liberamente si tiene a marzo, la domenica mattina, dalle 11 alle 13:
- il 2 e 23 marzo al Teatro della Pergola a Firenze,
- il 9 marzo al Teatro di Rifredi a Firenze
- il 16 marzo al Teatro Era di Pontedera (Pi).
Gli incontri sono a ingresso libero, con prenotazione on line su teatrodellatoscana.it.
Con il contributo di Unicoop Firenze.