L’importanza di una corretta alimentazione

Intervista al professor Niccolò Marchionni del Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università degli Studi di Firenze.

Secondo il professor Niccolò Marchionni del Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università di Firenze, se mangiamo bene possiamo avere un’aspettativa di vita massima di 120 anni. «Sembrano tanti ma non lo sono. Basta pensare che in Italia gli ultracentenari negli ultimi 15 anni sono più che triplicati e attualmente sono circa 18.000». Abbiamo quindi tanta più probabilità di avvicinarci ai 120 anni quanto meglio mangiamo.

C’è infatti una stretta relazione tra alimentazione e stato di salute, tanto che un’alimentazione sbagliata sia in termini di eccesso che di deficit ponderale si associa ad un aumento della possibilità di contrarre diabete e malattie cardiovascolari, oltre a determinare un accorciamento dell’aspettativa di vita.

Cos’è la malnutrizione e quali sono i dati in Italia?

Un’alimentazione difettosa per eccesso o per difetto è stabilita tecnicamente dall’indice di massa corporea, ovvero il rapporto fra il peso e il quadrato della statura. Questo valore in una persona normopeso è sotto i 25, una sovrappeso è fra 25 e 29,9 e una obesa è sopra i 30. 

La Toscana è una delle aree più virtuose perché si pone al di sotto della media italiana sia per frequenza di sovrappeso sia di obesità insieme alle Marche e alle province autonome di Trento e Bolzano, mentre purtroppo nella parte meridionale dell’Italia (Calabria, Campania e Puglia) ci sono tassi di sovrappeso superiori alla media nazionale. Secondo un’indagine dell’Istituto Superiore della Sanità, in Italia la prevalenza del sovrappeso è del 32,5%, ovvero 1 italiano su 3 è sovrappeso, mentre il 10,4% della popolazione è obesa.

Qual è il legame fra nutrizione e morbilità?

Dai primi anni 90 in poi, molti ricercatori hanno lavorato per misurare il rapporto fra nutrizione e aspettativa di vita su alcuni animali, dimostrando che un regime alimentare ristretto comportava un aumento dell’aspettativa di vita media anche del 30-35%. Nel 2009 si comincia a parlare della cosiddetta restrizione calorica, grazie a un articolo pubblicato su Science riguardante uno studio fatto sui macachi. Nell’articolo, i ricercatori mostravano che i macachi tenuti a restrizione calorica per 25 anni si ammalavano molto meno di quelli tenuti a dieta libera e di conseguenza morivano molto più tardivamente.

«Avere un indice di massa corporeo e/o una circonferenza vita al di sopra dei valori normali infatti aumenta la morbilità, cioè la probabilità di sviluppo di malattie, soprattutto quelle cardiovascolari come infarto, scompenso cardiaco e ipertensione, ma anche tumori e neoplasie» afferma il professor Marchionni. È interessante notare come il rischio di morte per tutte le cause aumenta in maniera esponenziale in funzione dell’indice di massa corporea all’età di 50 anni in entrambi i sessi nella fascia di sovrappeso ma ancora di più nell’obesità; ma la crescita si rileva anche nella fascia del sottopeso. Il minimo di mortalità quindi si ottiene nella fascia di indice corporeo normale

Cause e conseguenze del sovrappeso e dell’obesità

In un report del 2017, l’Organizzazione Mondiale della Sanità attribuisce la rapida crescita della “epidemia obesità” all’incremento globale della disponibilità di cibo, soprattutto di cibo obesiogeno, di cattiva qualità, ricco di grassi e zuccheri. Lo stesso report mostra come nel 2003 in Gran Bretagna la differenza dell’aspettativa di vita media tra un normopeso e un obeso era di 2,6 anni; se la diffusione dell’”epidemia obesità” non si fermerà, si prevede che nel 2051 questa differenza salirà a 5,3 anni di svantaggio degli obesi rispetto ai normopeso.

«Una domanda che le persone mi fanno spesso è se più si campa più anni si vivono in disabilità – dichiara Marchionni – Effettivamente nei nostri dati si vede la relazione tra l’aspettativa di vita media e il numero di anni vissuti in disabilità». La Finlandia, ad esempio, ha molti più anni in media di disabilità rispetto agli altri paesi europei e contemporaneamente è anche quella che consuma meno frutta e verdura nella comunità economica europea. Invece Italia e Spagna, maggiori consumatori di frutta e verdura, mantengono mediamente una migliore efficenza fisica nel tempo.

Qual è il legame fra nutrizione e demenza?

«Uno spettro si aggira nel nostro immaginario collettivo ed è quello della demenza; la cosa interessante è che anche questa patologia dipende dalla nostra alimentazione. Basta andare sulla National Library of Medicine, lo strumento migliore di ricerca del settore, e fare una ricerca che mette insieme le parole “nutrizione” e “demenza”. Il risultato è che, nella fascia di anni tra il 1980 e il 2023, sono stati prodotti 3565 lavori e studi scientifici sull’associazione fra nutrizione e demenza» afferma il professor Marchionni.

Ma quanto possiamo agire su questa patologia? Il Massachussetts General Hospital di Boston ha recentemente condotto una ricerca per capire quanto sia modificabile il rischio di sviluppo di Alzheimer; in poche parole, quanto possiamo agire per rallentarlo. La ricerca ha individuato che ci sono fattori di rischio non modificabili come l’invecchiamento o fattori genetici come la mutazione del gene APOE e4, ma ci sono anche fattori protettivi modificabili, come l’alto livello di istruzione, la dieta mediterranea, l’attività fisica e l’impegno intellettuale in attività sociali. Una buona risposta per prevenire la demenza è quindi la dieta mediterranea che riduce lo sviluppo di decadimento cognitivo (rispetto a una dieta libera). Questa dieta contiene infatti molti nutrienti in grado di prevenire il decadimento cognitivo, tra cui: un moderato apporto di vino (un bicchiere al giorno), un po’ di caffè, pesce azzurro, frutta e verdura, cereali e latticini magri.

«Ecco perché con Unicoop Firenze abbiamo avviato un progetto per guidare i consumatori in una scelta virtuosa verso il miglioramento di uno stile dietetico, limitando molto (ma non eliminando) carne rossa, burro e margarina, formaggi, fritto e dolci» suggerisce il professore. 

In cosa consiste la sindrome del frigo vuoto?

«Quando ero presidente della Società Italiana di Geriatria e Gerontologia ho condotto una ricerca con gli assistenti sociali delle Marche, analizzando i frigoriferi degli over 75 che vivevano soli. La ricerca ha confermato che il frigo vuoto aumentava il rischio di ospedalizzazione del 25% nell’anno successivo» racconta il professore. 

Una persona malnutrita per difetto ha infatti un elevato rischio di polmonite, infezioni, debolezza muscolare e cadute con eventi fratturativi. Alcuni elementi che causano un’alimentazione inadeguata sono la riduzione del gusto e dell’olfatto, protesi dentarie inadeguate, malattie osteoarticolari che limitano la possibilità di andare fare la spesa, e molto spesso la povertà. «Per contrastare la sindrome del frigo vuoto, insieme a Unicoop Firenze abbiamo preparato un carrello d’argento, una dieta equilibrata e a basso costo per gli over 60. Si tratta di un percorso virtuoso alimentare dedicato alla prevenzione dell’invecchiamento e dell’invecchiamento in buona salute, che avrà l’obiettivo di garantire a tutti una guida consapevole verso un’alimentazione sana, virtuosa e protettiva con un occhio alla sostenibilità sul piano economico e ambientale». 

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