Entrai nel supermercato ma decisi di tenere con me l’ombrello perché gli ultimi tre mi erano stati portati via nel giro di poche settimane. Colpa della pioggia improvvisa – pensai – scartando l’idea del furto deliberato. Era una mattinata piovosa ma volevo mantenere un atteggiamento positivo nei confronti del prossimo. Lasciai però in un luogo sicuro il mio nuovo trolley della spesa, non quello della mamma – troppo logoro oramai – che conservavo nel garage come un caro ricordo. Lo sistemai in un angolo accanto all’ultima cassa, un po’ nascosto. E così pensai di nuovo a Maria: l’aveva trascinato per anni, anche negli ultimi quattro mesi, con tutta la forza che le era rimasta, con le ultime energie che la chemioterapia le aveva lasciato. Lo riempiva fino all’orlo quel carrellino e non mancavano mai i biscotti preferiti dal marito. Adesso tocca a me tirare il carrello della spesa – pensai – fino alla fine, coraggio e avanti. Fare la spesa mi aiutò a distogliere il pensiero dalla mamma e da Maria. Scelsi tutto con cura, optai per le offerte ma senza trascurare la dieta e i cibi sani.
Meglio la cassa 3, la signora ha poche cose nel carrello e l’uomo l’ha riempito solo di acqua e birra- pensai. Così mi spostai velocemente, lasciando la fila che non scorreva. La giovane cassiera, quella con le labbra disegnate dalla matita violacea, non sembrava nervosa né infastidita dalla donna che, avendo già raggiunto la cassa, parlava ancora al telefono in viva voce davanti a lei. Brutta abitudine- pensai, ma lo stavo dicendo a me stessa, rendendomi conto di quanto poco civile fosse divulgare le arrabbiature e i fatti propri in pubblico. Controllai la mia spesa facendo rapidamente i conti perché volevo spendere abbastanza per avere più buoni da riutilizzare entro la fine del mese. Una volta appurato che avrei avuto diritto almeno a tre buoni spesa, controllai di avere il cellulare in borsa e non c’era.
Come al solito non mi allarmai più di tanto, l’avevo lasciato sicuramente accanto alla bilancia, dopo avere finito di parlare con Laura. Lasciai la coda con un sorriso e ricevetti in cambio sorrisi più luminosi del mio, che sembravano emoticon felici con le mani aperte. Misi in atto il piano A, quello che di solito funzionava alla prima. Velocemente raggiunsi una delle bilance per pesare la frutta e la verdura ma il mio cellulare con la custodia rosso sbiadito non c’era. Pensando che sicuramente avevo pesato le pere altrove controllai l’altra bilancia, frugando tra bustine di plastica e i guanti stropicciati. Niente, il mio cellulare si era finalmente deciso a lasciarmi, neanche lui mi sopportava più. Ma che disastro sarebbe stato! Ricorsi al metodo B: chiedere alla persona più apparentemente gentile e disponibile di chiamare il mio numero. Diedi una rapida scorsa alle persone in fila per il pane e decisi di tentare con la più giovane.
Era un uomo sulla cinquantina, alto e scuro di capelli, un cliente del supermercato improbabile a quell’ora, di solito frequentato da pensionati come me, per lo più donne dai settanta agli ottanta, ma anche uomini un po’ più giovani. Tutti impazienti, sembravano non aver abbandonato la vecchia abitudine della fretta e sempre in cerca di strategie per saltare la fila. Tutte signore con i capelli tinti di un colore biondo improbabile, pignole, pedanti, che chiedono del pane x anziché y o z, cotto ma non troppo, sui 350 grammi o 450 al massimo, perché il nipote o la nipote ne mangia poco e il pane duro non piace a nessuno, tutte con i minuti contati perché a pranzo hanno il figlio e il nipote, o tutti e due, ma logorroiche fino alla nausea. Le stesse che poi ritrovi al banco della carne a scegliere il taglio di manzo per il bollito e alle quali chiederesti volentieri un consiglio perché, se interpellate, si prodigano in consigli e ti svelano segreti.
Insomma, dopo un esame basato più che altro sulle sensazioni a pelle, mi ritrovai a chiedere il favore al signore in questione: “Mi scusi, potrebbe gentilmente chiamare il mio numero? Ho perso il cellulare mentre facevo la spesa e stamani non riesco a ritrovarlo”. Noi donne abbiamo davvero una marcia in più: l’intuizione. L’uomo – che non era solo gentile ma anche prestante – sorrise e si fece dettare i numeri. Chiamò. Gli chiesi tempo e, a passo veloce, ripercorsi il mio consueto tragitto che percorrevo quotidianamente più come un automa che una persona in carne e ossa, ovvero pane-frutta-latticini-carne-biscotti-detersivi-cassa. Il mio telefono non squillava, l’avrei riconosciuto anche sorda quel suono! Il suono che amavo o odiavo, che desideravo o temevo, a seconda delle situazioni. Sentii qualche suoneria durante il tragitto ma non era lui – o meglio – non era il mio telefono. Allora, senza darmi per vinta, tornai alla fila del pane e chiesi al signore gentile di provare ancora una volta. Feci il percorso con le deviazioni, certo -pensai – quelle erano sempre possibili. Avevo comprato lo shampoo e i biscottini per il gatto: avevo fatto almeno due deviazioni importanti.
Percorsi il tragitto questa volta con il cuore in gola perché non ricordavo di aver messo il telefono in un ripiano. Poi, d’improvviso, rividi la scena: l’anziana signora, che lavorava come bidella nella mia scuola ai tempi d’oro della mia carriera di insegnante, mi aveva fermata, convinta che volessi ignorarla o che, forse, non l’avessi riconosciuta. Certo, era stata proprio lei a farmi confondere. Mi diressi al reparto shampoo-sapone-deodoranti e lì, accanto alle fiale che rinforzano il cuoio capelluto, lo vidi e lo sentii contemporaneamente. Anche questa volta era andata bene, pensai, sollevata. La felicità è davvero nelle piccole cose: una suoneria familiare e il tuo amico telefonino che aspetta solo te. Mi diressi di nuovo al reparto pane e dolci e ringraziai calorosamente quel giovane uomo.
Nessuno- gli dissi – avrebbe mai fatto una cosa così importante con tanta disponibilità. Tornai alle casse dove, nel frattempo, le file si erano allungate. Scelsi di nuovo quella con la cassiera giovane con le labbra disegnate dalla matita perché mi sembrava la più veloce. La stessa velocità, unita alla disinvoltura, la usava sicuramente per fare il contorno viola alla bocca, con pessimi risultati- pensai.
In fila c’era anche l’anziana bidella che, di nuovo, mi sorrise e mi chiamò ancora professoressa. Rieccola – pensai. Aveva tanta voglia di parlare anche lei e io non avevo nessuna fretta ormai. Con 500 euro di pensione cosa vuole che si possa comprare al giorno d’oggi? Ci rendiamo conto? Con 500 euro devi pagare le bollette, riscaldare la casa, comprare le medicine e fare la spesa ogni giorno. Di questi tempi non si può andare avanti con così poco! La voce era la stessa dei bei tempi, un po’ roca e lagnosa, cantilenante. Aveva ragione però – pensai – a lamentarsi. Eccome! Guardai dentro il suo enorme carrello. Pensai che avrebbero dovuto fornire carrelli diversificati: piccoli per i pensionati e grandi per i lavoratori. Vi erano poche cose, scelte tra le meno care, i viveri, per così dire, mi si strinse il cuore al pensiero di tante persone come lei.
Così, ripensai a Maria e alla mamma, donne il cui progetto di vita è stato quello di servire la famiglia e per le quali il supermercato vendeva cibo per sfamare ma anche qualche piacere extra. Offerte, buoni sconto, prodotti a breve scadenza ma anche qualche sfizio, qualche dolcetto e carne tenera.
Ritrovai il mio nuovo trolley lì, dove l’avevo lasciato. L’ombrello era agganciato alla mia mano sinistra e il cellulare in tasca, pronto all’uso. Era pesante quel trolley, più del solito. Era stracarico. Sarei arrivata a casa con le braccia doloranti e la schiena a pezzi. Toccava a me, adesso, trascinarlo fino a casa. E, tutto sommato, non mi pesava.
(di Pyera Sestini)