Granelli di sabbia
La recente vicenda della spiaggia La Rossa di Porto Azzurro sull’Isola d’Elba, “sbiancata” per l’aggiunta di nuova sabbia e denunciata da Legambiente, ha avuto il merito di riportare l’attenzione proprio sulla sabbia, croce o delizia a seconda dei gusti, delle nostre estati.
Se camminare a piedi nudi è un gran beneficio per muscoli e articolazioni e quasi tutti la odiamo se finisce dentro le scarpe, in pochi sappiamo davvero che cosa calpestiamo. «Quando camminiamo sulla sabbia è come se calpestassimo l’Appenino, le Apuane o le colline del Chianti» perché come racconta Enzo Pranzini, docente di Dinamica e difesa dei litorali all’Università di Firenze, la sabbia che ha formato nei millenni le coste toscane proviene dai detriti trasportati dai fiumi, l’Arno e l’Ombrone soprattutto, ma non solo. Dalla sorgente alla foce e poi spinta dal moto ondoso, fino a depositarsi lì dove le onde si placano. Parlando con Pranzini autore del volume Granelli di sabbia.Una guida per camminare sul bordo del mare (Pacini editore) si scoprono i perché di tante cose, ad esempio che la sabbia di Marina di Pietrasanta è la più fine della costa fra Bocca di Magra e Livorno perché proprio davanti si incontrano i flussi sedimentari che provengono dall’Arno e dal Magra e solo le particelle più leggere arrivano su quel tratto di litorale.
Bianche, nere e dorate
Chiacchierando con Pranzini si apprende anche che colore e consistenza delle sabbie dipendono dalle rocce di provenienza. Sulla base di alcune ricerche condotte in vari Paesi sono le donne e ancor più i gay a dare maggiore importanza al colore della sabbia quando scelgono la località per le proprie vacanze, mentre i maschi eterosessuali sembrano più indifferenti; tutti comunque preferiscono la sabbia bianca a quella grigia.
Certo è che quella chiara, riflettendo la luce, facilita l’abbronzatura e non fa scottare i piedi nelle ore più calde, oltre a rendere più turchese il colore del mare. Ma è ugualmente difficile resistere al fascino delle spiagge nere formatesi dall’erosione delle rocce vulcaniche, o ancora di quelle con riflessi dorati per la presenza di di minerali ferrosi, anche se in piena estate sarà più difficile camminare a pieni nudi nelle ore centrali della giornata.
«Uno dei minerali più frequenti è il quarzo, anche perché essendo particolarmente duro resiste maggiormente all’abrasione, tanto che alcune spiagge fossili, ossia non più alimentate, sono costituite esclusivamente da granuli di quarzo. Una di queste è Cala Violina vicino a Punta Ala, che deve il suo nome non a un fantomatico colore viola, ma al rumore che fa la sabbia sotto i nostri piedi quando camminiamo e che ricorda il suono del violino» afferma Pranzini.
Ma, citando il ritornello di una vecchia canzone, nella sabbia c’è di più: pezzetti di conchiglie, scheletri di animali marini, alghe calcaree e microfossili. «La famosa spiaggia della Pelosa in Sardegna deve il suo colore grigio-chiarissimo non solo alla presenza del quarzo, abbondante nelle rocce di questa parte dell’isola, ma anche ai carbonati provenienti da gusci di animali che prosperano nelle praterie di posidonie presenti sui fondali».
Tutti questi elementi nell’insieme costituiscono le caratteristiche non solo estetiche della spiaggia che con la sua temperatura diventa più o meno idonea ad ospitare gli animali che vi vivono sopra o anche dentro, e perfino a quelli che vi depongono solo le uova. Il sesso dei nascituri di tartaruga dipende proprio dal calore: «Sui 29° gradi centigradi i sessi sono bilanciati, mentre temperature più alte favoriscono la nascita delle femmine».
Mare che sale
La minaccia dell’erosione ha fatto sì che l’uomo mettesse in atto pratiche di difesa come le scogliere frangiflutti che però portano dei benefici, e non sempre, solo nell’area da esse riparata rubando la sabbia dalle spiagge vicine. Ma il vero problema è un altro.
«L’innalzamento del livello del mare è un fenomeno inarrestabile causato dal riscaldamento globale, e da una velocità di circa 1,5 millimetri all’anno della prima metà del secolo scorso ha raggiunto oggi 3,4 millimetri l’anno. In alcuni Paesi gli abitanti lasciano interi villaggi per ricostruirli più all’interno, mentre in alcuni tratti della costa degli Stati Uniti si abbandonano le ville costruite sulla spiaggia perché è vietato difenderle con scogliere. I governi di alcuni Stati nell’oceano Pacifico hanno comprato ampie porzioni di territorio continentale nella previsione che le loro isole vengano sommerse. In Italia purtroppo nessuno sembra porsi questo problema» constata Pranzini. Nell’attesa che qualcuno ci pensi, ma soprattutto agisca, uno studio pubblicato su Nature Climate change prevede che il 50% delle spiagge sparirà prima del 2100, «perché quanto abbiamo costruito sulla costa impedisce che queste migrino verso l’interno in risposta all’innalzamento del livello del mare.
Davanti a fenomeni globali il singolo cittadino ha poche possibilità d’intervento, ma per quest’estate un piccolo impegno ce lo possiamo prendere: rispettiamo le dune e la loro vegetazione e non stendiamo l’asciugamano su quella che vive sulla spiaggia, che potrebbe aiutare una nuova duna a nascere. Questo argine potrà aiutarci in futuro» conclude Pranzini.