A Palazzo Strozzi la mostra dedicata all’artista Tracey Emin

Dal 16 marzo al 20 luglio la più grande personale dell'artista inglese d'avanguardia. Per i soci Unicoop Firenze ingresso in convenzione e visite guidate gratuite

Dopo Marina Abramović nel 2018, Natalia Goncharova l’anno successivo, e Helen Frankenthaler, la cui personale si è chiusa lo scorso gennaio, un’altra artista si prende la scena di Palazzo Strozzi a Firenze.

È la britannica Tracey Emin, ormai ex “bad girl” (cattiva ragazza) della scena artistica degli anni ’90. Nata a Londra e cresciuta a Margate, città costiera dell’Inghilterra del sud, figlia di padre di origine turco-cipriota e di madre inglese di origine romanichal (gruppo rom stanziato nel Regno Unito dal XVI secolo), vive un’infanzia complessa, con l’abbandono da parte del padre quando era bambina che lascia un segno profondo nella sua vita.

Curata da Arturo Galansino, direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi, “Tracey Emin. Sex and Solitude”, dal 16 marzo al 20 luglio, è la più grande mostra mai realizzata in Italia dedicata a questa artista e, attraverso oltre sessanta opere tra lavori storici e nuove produzioni, ripercorre i diversi momenti della sua carriera, dagli anni ‘90 a oggi.

Il titolo “Sesso e solitudine” richiama due poli centrali della ricerca dell’artista: da un lato il corpo e la sessualità, evocati attraverso immagini di intensa fisicità, un corpo fragile e carnale, luogo di piacere e sofferenza ma anche di memoria; dall’altro la solitudine e la vulnerabilità, che permeano il suo lavoro e trovano espressione in una figurazione carica di tensione emotiva.

@Tracey Emin, All rights reserved, Dacs 2025. Foto @White Cube (T. Christelis)
@Tracey Emin, All rights reserved, Dacs 2025. Foto @White Cube (T. Christelis)

Sesso e solitudine

Un’artista poliedrica, Emin, la cui attività spazia fra pittura, disegno, video, fotografia e scultura, sperimentando tecniche, e materiali come il ricamo, il bronzo e il neon – «mi piace servirmi di media differenti, assecondando i miei mutevoli stati d’animo», ha raccontato -, delle quali la mostra rende conto nel percorso espositivo, tematico.

A partire da I followed you to the end (Ti ho seguito fino alla fine, 2024), una delle molte opere che Palazzo Strozzi porta in Italia per la prima volta. La monumentale scultura in bronzo dalla forma apparentemente astratta che accoglie il visitatore nel cortile rinascimentale del Palazzo è caratterizzata da rilievi irregolari e cavità che evocano un paesaggio montuoso: soggetto dell’opera è in realtà la parte inferiore di un corpo femminile collassato e mutilo, che si pone in contrasto con la tradizione delle sculture in bronzo, solitamente celebrative di figure maschili. Una riappropriazione del corpo femminile che emerge in opere storiche parte della mostra come Exorcism of the last painting I ever made (L’esorcismo dell’ultimo dipinto che abbia mai fatto, 1996), ricostruzione della performance in cui l’artista si chiuse per tre settimane in una galleria di Stoccolma per dipingere nuda sotto lo sguardo del pubblico – in mostra anche la documentazione fotografica della performance, Naked photos. Life model goes mad (Foto di nudo. La modella impazzisce I, 1996) -.

Un progetto che ha segnato il ritorno dell’artista alla pittura dopo anni di interruzione – «avevo smesso di dipingere nel 1990 dopo il mio aborto» – e che ribalta il tradizionale soggetto del nudo femminile, perché l’artista diviene al tempo stesso soggetto e oggetto della sua ricerca pittorica.

@Tracey Emin, All rights reserved, Dacs 2025.Courtesy White Cube
@Tracey Emin, All rights reserved, Dacs 2025.Courtesy White Cube

La vita come ispirazione

Nell’arco della sua carriera l’artista ha tratto infatti ispirazione dalla propria vita, facendo riferimento a esperienze profondamente intime, dalla sua storia sessuale agli abusi subiti, dall’aborto alle relazioni affettive.

La biografia è dunque la fonte ma, ha precisato in un’intervista, «il mio lavoro non è mai stato autobiografico. Nessuno direbbe una cosa simile di Vincent van Gogh, Egon Schiele o Edvard Munch. Come loro, il mio lavoro si basa sui sentimenti e sul flusso di emozioni che provengono dal conscio e dal subconscio». Due degli artisti da lei più amati, Schiele e Munch: ponendosi in rapporto con questi maestri, Emin si concentra sull’idea di figurazione inserendosi in una tradizione artistica centrata sulla figura umana e sull’esplorazione del corpo.

Basti guardare a un dipinto come It – didnt stop – I didnt stop (Non si è fermato – Non mi sono fermata, 2019), in cui figurazione e astrazione si fondono sulla tela attraverso intensi gesti pittorici e cromie audaci che delineano frammenti di corpi e immagini di forte carica sessuale.

Una riflessione drammatica sul corpo attraversa le opere più recenti, nate dopo la malattia dell’artista, da It never felt like this (Non è mai stato così) e 5 hours long – With you in my mind (Per 5 ore – Con te nella mia mente), che evocano il tempo sospeso fra vita e morte, a The sea came in, the sea went out – it left me (Il mare è venuto, il mare è andato – mi ha lasciato), che intreccia l’esperienza personale con la solitudine universale.

Fondamentale nella pratica dell’artista è l’uso del linguaggio. Diretto ed esplicito nei titoli di opere che evidenziano talvolta la crudezza della sua poetica, altri che catturano la fisicità del desiderio, come I don’t need to see you I can feel you! (Non ho bisogno di vederti, ti sento!, 2016), altri ancora che esprimono invece la centralità dell’amore, declinato fra passione e sofferenza, attesa e perdita, come Hurt heart (Cuore ferito, 2015),il neon Those who suffer LOVE (Chi soffre AMA, 2009), il bronzo All I want is you (Tutto quello che voglio sei tu, 2016). Linguaggio che è altrettanto importante nei materiali.

Tipico è l’utilizzo del neon con cui crea frasi che riproducono la sua scrittura manuale, che così, da espressione intima, diviene esperienza visiva ed emotiva. Love poem for CF (Poesia d’amore per CF, 2007) è uno dei suoi lavori più grandi realizzati con questo mezzo ospitati in mostra: un messaggio personale come la lettera a un ex-fidanzato diviene una dichiarazione universale di dolore e desiderio. Ed è altrettanto incisivo nei lavori tessili, come I do not expect (Non mi aspetto, 2002), una coperta con appliqué che unisce frammenti di pensieri sulla maternità e sulla morte.

Da enfant terrible a Dama reale

Tracey Emin non è più l’enfant terrible di un tempo. Quella che anni fa annunciò di aver sposato una pietra (non una qualsiasi, ma una grande roccia che si trovava nel giardino della sua casa in Francia). O quella che nel 1999 attirò una enorme attenzione mediatica con My bed alla Tate Gallery di Londra, opera che mostra il letto sfatto dell’artista circondato da oggetti personali e altri resti, come preservativi, biancheria macchiata di sangue, bottiglie di alcol vuote e mozziconi di sigaretta (fra l’altro, nel 2015 è stata venduta all’asta da Christie’s per 2,5 milioni di sterline, circa 3,5 milioni di euro).

O, ancora, quella della più celebre tenda dell’arte, andata perduta in un incendio, Everybody I ever slept with, con sopra i nomi delle 102 persone con le quali aveva dormito – nel senso più ampio del termine, incluso infatti anche suo fratello gemello – dal ‘63, anno della sua nascita, al ‘95.

Nella sua “seconda vita”, oltre ai tanti riconoscimenti – nel 2011 è stata nominata Professore di Disegno dalla Royal Academy, diventando una delle due prime donne a ricoprire questo ruolo nella storia dell’istituzione; e l’anno scorso è stata insignita del titolo di Dame nell’ambito dei premi conferiti in occasione del compleanno di re Carlo, come riconoscimento del suo contributo all’arte – anche la battaglia, vinta, contro un grave cancro alla vescica diagnosticato nel 2020.

Anche in questo caso, Emin ha trasformato un momento intimo e privato in una metafora esistenziale, documentando questo lungo e difficile percorso su Instagram. Confermando di essere un’artista che ha messo a nudo la sua anima attraverso la sua arte, e che esaminando la propria vita aiuta chi osserva le sue opere a capire di più su se stesso: «Voglio che le persone provino qualcosa quando guardano il mio lavoro. Voglio che sentano se stesse. Questo è ciò che conta di più».

Per i soci ingresso in convenzione e visite guidate gratuite, su prenotazione, con il biglietto d’ingresso la domenica (alle 15) e il lunedì (alle 18).

Visto il successo degli appuntamenti precedenti, tornerà, in data da definire, anche l’evento speciale Under30.

Per maggiori informazioni sulla mostra:
palazzostrozzi.org, prenotazioni@palazzostrozzi.org

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