Al giorno d’oggi sembra proprio che per fare autodiagnosi basti un “clic”. Secondo il Censis, infatti, gli italiani che cercano informazioni sulle cause dei propri disturbi sul web sono circa l’88% e di questi il 93% sono donne. Un fenomeno che, se ripetuto in maniera eccessiva, prende il nome di “cybercondria”.
Ma di che si tratta?
«La parola cybercondria è un neologismo che deriva dalla fusione di cyber e ipocondria, che non è altro che una forma di fobia – spiega Francesco Rotella, professore associato di Psichiatria dell’Università di Firenze e psicoterapeuta -. Andando per ordine, una fobia è una paura sproporzionata rispetto alle reali capacità di nuocere di uno stimolo (si parla di fobia di un topolino, non di fobia di un leone). L’ipocondria non è altro che la fobia di avere una malattia o, più in generale, consiste nell’avere eccessive preoccupazioni per la propria salute. La cybercondria è una forma di ipocondria che si sviluppa a seguito di persistenti ricerche online di informazioni mediche. Oggi siamo tempestati da neologismi di questo tipo. Esiste ormai la fobiadi quasi ogni cosa. Sulla cybercondriaè in corso un dibattito rispetto a quanto questa entità possa avere delle caratteristiche distintive rispetto all’ipocondria. Da un lato le due cose sono concettualmente molto simili, dall’altro, la cybercondria sembra essere associata alla incapacità di staccarsi dalle fonti informatiche e dalla rete. Fonti spesso fallaci, non verificate, o perfino fuorvianti, volutamente orientate a generare paure, con la finalità di vendere prodotti».
Come si manifesta la cyibercondria?
La persona con questo problema percepisce sintomi crescenti di ansia che la accompagnano in tutte le attività della vita. Queste preoccupazioni per la salute sono persistenti e non si riescono a mandare via dalla testa. A volte possono verificarsi anche episodi di ansia acuta (attacchi di panico).
Alcune caratteristiche psicologiche espongono a un maggior rischio di sviluppare cybercondria?
Certamente. Questo tema però è molto complesso. Mi limiterò a dire che, in generale, l’esigenza di avere una certezza, in questo caso di non essere malata, è tanto maggiore, quanto più fragile internamente si sente quella persona.
La ricerca su internet di sintomi e malattie può ostacolare la diagnosi del medico curante?
Ostacolare non direi. Un medico esperto e competente solitamente sa andare oltre le informazioni non rilevanti o fuorvianti riportate dai pazienti. Sicuramente però, può interferire con il percorso di cura. Purtroppo, è estremamente frequente che i pazienti modifichino o sospendano le cure in base ad informazioni lette online, da fonti non autorevoli.
Come può essere gestito il problema?
Innanzitutto, con l’istruzione e l’educazione della popolazione. L’Italia si posiziona ogni anno ai primi posti in Europa per tasso di analfabetismo funzionale (incapacità di comprendere le informazioni che si leggono o si ascoltano).
Un cittadino maggiormente istruito sarà più in grado di riconoscere un’informazione scorretta o, in generale, sarà in grado di capire che la probabilità di cadere in errore seguendo cyber-informazioni è elevatissima. Altro aspetto fondamentale è la relazione medico-paziente.
Il medico deve dedicare un tempo adeguato a spiegare le cose, assicurandosi che il paziente le comprenda.
Il paziente, da parte sua, deve chiedere tutto quello che non ha chiaro, senza remore, ma, una volta chiarito ogni dubbio, deve fidarsi del medico che ha scelto e della prescrizione. La fiducia è sempre il primo elemento di una cura efficace.