L’era del cinghiale

Oltre un milione e mezzo di suini selvatici scorrazzano in Italia. Il problema riguarda anche la Toscana

Franco Battiato nel 1979 l’aveva previsto, tanto da intitolare il suo nono album L’era del cinghiale bianco – i più adulti se lo ricorderanno -. Solo che i suini che ormai circolano nelle nostre città di candido hanno ben poco, e anche di autoctono. Secondo uno studio di Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, in Italia dopo un declino demografico fino alla prima metà del XX secolo c’è stata una progressiva espansione, favorita anche dal rilascio di individui allevati in cattività o importati.

Social media, web e tv mostrano famiglie di cinghiali nelle vie semicentrali di Roma, liberi di razzolare fra i cassonetti, ma anche in riva al Mugnone a Firenze e in altri capoluoghi toscani, sempre in cerca di cibo, persino nei parchi pubblici. Diventano pericolosi se li si infastidisce o quando attraversano strade e autostrade, mettendo a rischio la sicurezza delle persone, degli automobilisti e dei motociclisti.

A preoccupare, però, sono anche i danni all’agricoltura, «arrivati a più di 17 milioni di euro nel 2022, un dato fra l’altro sottostimato» spiega Piero Genovesi, responsabile del Servizio per il Coordinamento della Fauna selvatica dell’istituto.

Si stima che in Italia circoli più di un milione e mezzo di cinghiali. Ma non sono gli unici animali selvatici a impensierire chi lavora nel settore: «Anche caprioli e lupi sono in grado di distruggere un raccolto o parte di un gregge in una sola notte – racconta Massimo Carlotti, vicepresidente Legacoop Agroalimentare Nazionale -. Non si può negare che gli animali selvatici siano sempre più vicini alle coltivazioni e agli allevamenti, oltre che alle città; fra le cause c’è il sovrappopolamento, ma anche un modo diverso rispetto al passato di gestire il bosco e i cambiamenti climatici, che riducono la quantità di cibo disponibile in natura».

Come risolvere?

Il piano straordinario varato con la Legge di Bilancio dal Governo (ma operativo dal 1° maggio) per rimediare al problema “cinghiali in città” ha suscitato preoccupazione e ironia, facendo intuire che si potranno uccidere anche nei centri urbani per poi mangiarli. In realtà spetterà alle Regioni provvedere al “controllo” delle specie selvatiche, autorizzando interventi anche nelle zone e nei giorni vietati, secondo piani di contenimento mediante abbattimento o cattura.

Per farlo gli enti locali potranno rivolgersi a cacciatori locali, a patto che abbiano seguito appositi corsi di formazione. Gli animali si potranno mangiare, previo controllo delle Asl. Fondamentale per escludere rischi per la salute, come insegnano i recenti casi pugliesi di trichinellosi, una malattia dovuta a parassiti presenti nella carne dei cinghiali infetti e che passano all’uomo, se non viene cotta bene.

Il timore di molti, ambientalisti in testa, è che questa legge dia il via a una caccia selvaggia “legalizzata”, persino in città. «Attività di rimozione di cinghiali già si praticano: città come Roma, Genova o Trieste sono solo alcuni esempi. Normalmente, però, si interviene con la cattura, e posso affermare che questo non cambierà», assicura l’esperto.

Funzionerà?

Se tutti concordano sul fatto che la situazione sia fuori controllo, difficile è trovare una soluzione che metta d’accordo ambientalisti e agricoltori, ma che sia soprattutto efficace.

Negli ultimi dieci anni, sempre dati Ispra, sono stati abbattuti in media circa 300mila cinghiali all’anno, ma la loro popolazione complessiva è più che raddoppiata. «Le attività di caccia si concentrano generalmente sui maschi adulti, i cosiddetti animali da trofeo, anziché sulle giovani femmine e sui piccoli, che continuano a crescere e riprodursi, nella lotta per la sopravvivenza. Non possiamo negare neppure che i cacciatori abbiano interesse a tenere in circolazione l’animale e a non farlo scomparire».

Su un approccio integrato punta Carlotti: «Servono interventi programmati e condivisi, differenziati per zona e per tipologia. Bene i recinti elettrificati o ad ultrasuoni per allontanare le diverse specie dalle coltivazioni, ma non è possibile farlo ovunque, e d’altronde spesso la recinzione non basta. In alcuni casi l’abbattimento è indispensabile, come la selezione e lo spostamento degli animali in aree boschive. E dove possibile, è bene usare anche la sterilizzazione, purché tutto avvenga secondo piani che abbiano solide basi scientifiche e una programmazione ad ampio raggio».

(A cura di Caterina Vettori e Giorgia Nardelli)

La versione di…

Andrea Mazzatenta, docente di Psicobiologia e psicologia pnimale, Università degli Studi di Teramo

«Il nuovo piano di controllo dei cinghiali? Un provvedimento irrazionale. È come se un malato, con un grosso problema di salute, si rivolgesse al cartomante anziché a un medico. Che sia caccia o controllo non fa molta differenza – dice -. Il cinghiale è un animale predato da molte specie: il lupo, la volpe, la poiana e non ultimo l’uomo. Se sei in questa situazione, o ti estingui o cambi strategia riproduttiva. Ed è quello che ha fatto».

Si può spiegare meglio?
Durante le battute di controllo oggi vengono utilizzate tecniche di caccia, come la braccata, dove squadre di persone vanno a stanare i cinghiali che vivono in famiglia. Le famiglie di cinghiali hanno una struttura matriarcale: le madri adulte fanno scappare i giovani per primi, sono le prime a morire, seguite dai maschi adulti. I più giovani, ormai senza riferimenti, iniziano a vagare alla ricerca di cibo e, sentendosi in pericolo, cercano rifugio nelle aree dove non si caccia, quindi aree agricole, urbane o protette.

Perché molti studiosi sostengono che con la caccia i cinghiali fanno più figli?
Diversi studi lo dimostrano. Nelle famiglie di cinghiali la madre adulta regola anche il ciclo di riproduzione: le femmine vanno in estro nello stesso periodo, ma è solo lei ad accoppiarsi con il maschio adulto. Venendo meno loro, il ciclo riproduttivo coinvolge automaticamente i giovani, che hanno una capacità riproduttiva maggiore. Così, anziché una cucciolata di 4-5 piccoli, se ne hanno diverse da 12-13 esemplari. Non solo. Lo stress causato dalla caccia fa sì che le femmine vadano in estro non una volta l’anno, ma più volte. Ormai vediamo cuccioli tutto l’anno.

C’è una soluzione?
Caccia o controllo, il succo è lo stesso. Bisognerebbe far invecchiare la popolazione in modo naturale, nel giro di qualche anno si raggiungerebbe il punto massimo, il resto lo farebbe la natura, visto che i cinghiali sono animali stanziali e non percorrono enormi distanze per cercare cibo.

Luca Mercalli, presidente Società meteorologica italiana

Le immagini degli animali selvatici, che durante i lockdown pandemici passeggiavano tranquilli per le strade di varie città, ci sono rimaste negli occhi a ricordarci che fuori dalle aree urbane esiste una vita. Ed è quella che chiamiamo biodiversità: l’insieme di tutte le specie, non solo i mammiferi più numerosi e fotogenici, ma pure insetti, anfibi, rettili, uccelli, pesci e tutti i vegetali. La tregua per loro è durata poco e le specie più riservate, al ritorno del traffico automobilistico e delle persone, hanno rapidamente fatto dietrofront ritirandosi nuovamente in luoghi più nascosti e sicuri.

Qualcuna tra loro, più audace e più familiare con l’uomo, ha invece deciso di restare e anzi di insediarsi stabilmente, come i cinghiali: sono famosi quelli di Roma, ma non mancano in molte altre città. Si tratta di animali che soprattutto dove trovano rifiuti alimentari abbandonati per strada o in cassonetti accessibili, diventano opportunisti e scelgono la fonte di cibo più facile e assicurata dalle nostre abitudini. Così la convivenza con gli umani diviene complicata, fastidi e paure serpeggiano per i quartieri e alimentano malumori che sfociano nella richiesta di eliminazione totale, creando fazioni opposte che invece vorrebbero proteggerli.

Ci sono singole situazioni sulle quali occorre intervenire anche con la caccia selettiva – specie per i cinghiali, che sono in questo periodo pure portatori della peste suina -, e come sempre quando si ha a che fare con l’ambiente non esistono ricette facili adatte ovunque, ma bisogna analizzare i contesti caso per caso, rivolgendosi agli esperti del settore: zoologi, etologi, veterinari, per citarne alcuni. Occorre anche aumentare la cultura naturalistica delle persone che, sempre più confinate in ambienti artificiali, non hanno più una visione sistemica del territorio e della biosfera.

Verso molti animali che invadono la nostra quotidianità basterebbe attuare comportamenti che non favoriscano il contatto: evitare di abbandonare all’esterno rifiuti con residui di cibo, non fornire intenzionalmente alimenti che li attirino verso le zone abitate, anzi spaventarli e scoraggiare i rapporti con l’uomo. Già questo limiterebbe molto la frequentazione delle aree urbanizzate da parte dei selvatici. Ma poi non dobbiamo dimenticare che, mettendoci dal loro punto di vista, siamo noi che abbiamo invaso i loro territori, nei quali risiedevano da tempi immemorabili e che negli ultimi decenni abbiamo loro espropriato con ogni mezzo: cementificazione, strade, autostrade, ferrovie, illuminazione pubblica, rumore, inquinamento, agricoltura industriale, deforestazione.

Oggi di tutti i mammiferi presenti sulla Terra solo il 4% è selvatico, il 62% è d’allevamento e il 34% siamo noi, otto miliardi. Forse più che essere preoccupati per qualche capriolo che fa capolino tra le case, dovremmo preoccuparci del loro rischio di estinzione.

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