Meteo choc: inflazione climatica, danni all’agricoltura, eco-ansia

Il cambiamento climatico ci tocca da vicino: si vede nel piatto e si fa sentire nel portafoglio

Il cambiamento climatico si vede nel piatto e si fa sentire nel portafoglio. Dopo una fra le estati più calde di sempre a livello globale, sono arrivate le anomale precipitazioni di settembre e ottobre che hanno colpito vari luoghi d’Italia, ma in modo più violento ancora una volta l’Emilia Romagna. Con ingenti danni al tessuto produttivo e all’agricoltura, in particolare alle coltivazioni di ortofrutta. La conseguenza è che sui banchi del supermercato, come era già accaduto dopo l’alluvione nel maggio del 2023, le merci provenienti da quelle zone – frutta e verdura, ma anche conserve di pomodoro e altro – hanno scarseggiato.

«Quando si verificano eventi atmosferici particolarmente violenti, ne risente anche la catena dell’approvvigionamento e della distribuzione – racconta Giovanni De Nitto, direttore Merci di Unicoop Firenze -. Per frutta e verdura non esistono magazzini che possano attutire il colpo della scarsità dell’offerta, perché si tratta di prodotti facilmente deperibili e difficilmente sostituibili. Se, come sembra, il cambiamento climatico ci porterà a confrontarci sempre più spesso con fenomeni estremi, anche come consumatori dovremo fare i conti con questa maggiore instabilità».

La conseguenza di eventuali carenze di frutta e verdura non si esaurisce nel fastidio per soci e clienti di non poter acquistare i prodotti desiderati, ma si riflette anche sull’aumento dei prezzi di quelli disponibili. A causa di dinamiche di mercato regolate dal rapporto domanda-offerta, ma anche perché il distributore deve rivolgersi ad altri fornitori su mercati diversi da quelli consueti, a volte anche molto lontani. Nell’ultimo anno per il caro prezzi i consumatori hanno ridotto gli acquisti di frutta e verdura del 4,6%.

Inflazione climatica

Da un lato fenomeni di piogge intense un tempo eccezionali che ormai si ripetono con sempre maggiore frequenza, dall’altro assistiamo a lunghi periodi di siccità, come in Sicilia, una regione che vale il 17% di quello che mangiamo, dove la pioggia è stata scarsa e sporadica. Entrambe le condizioni sono dannose e squilibrate rispetto al passato e le ripercussioni si fanno sentire sui raccolti, senza possibilità di soluzione.

«Come si sposta un distretto agricolo del catanese o del pomodoro di Pachino? È semplice: non si può spostare, né nel breve tempo, né a costi sostenibili. Purtroppo nei prossimi anni il costo del cibo sarà necessariamente un po’ più alto di quanto eravamo abituati a pagare» spiega Claudio Mazzini, direttore Freschissimi Coop Italia. Per questo si parla di inflazione climatica, parole che indicano l’aumento dei prezzi in relazione a eventi climatici avversi: «Secondo un elaborato del Censis i disastri naturali hanno bruciato in Italia 210 miliardi di euro, e di questi ben 111 sono dovuti agli effetti dei cambiamenti climatici: è una cifra che vale come l’intero Pnrr o 10 manovre finanziarie» prosegue Mazzini.

La soluzione è difficile da trovare e sicuramente non arriverà a breve. I consumatori dovranno rassegnarsi a non vedere sugli scaffali tutti i prodotti desiderati e ad accettare talvolta che arrivino anche dall’estero. Secondo Mazzini, «dovremo trovare strumenti di mitigazione, ma gli effetti sulle produzioni primarie saranno duraturi. Il cambiamento climatico sta già modificando la nostra produzione nazionale. Nel 2023 abbiamo avuto il record delle esportazioni agroalimentari, 64 miliardi di euro, ma anche il record delle importazioni, che hanno raggiunto i 65 miliardi. Per lo più materie prime. In venti anni abbiamo perso 5 milioni di tonnellate di produzione nazionale di cereali e oggi ne importiamo 13 milioni l’anno: senza cereali, senza la soia, non si nutrono i polli, i suini o i bovini negli allevamenti».

L’eccezione che diventa la regola

Che il cambiamento climatico sia in atto è innegabile, e anche che gli eventi cosiddetti estremi non siano più eccezioni come un tempo. L’alluvione di un anno fa a Campi Bisenzio (FI) e quelle in Romagna lo dimostrano. «L’anno scorso a maggio in Romagna in due eventi climatici caddero 500 mm di acqua e si diceva fosse un evento centennale, questo settembre in 36 ore ne sono caduti 300 mm, quindi a distanza di poco più di un anno gli eventi cosiddetti estremi sono stati due nella stessa area geografica.

Alla fine di settembre si è verificato un altro evento estremo, in Toscana stavolta, a Castagneto Carducci e San Vincenzo (LI), dove in 6 ore sono caduti 220 mm di acqua, quando in tutto il mese ne dovrebbero cadere dai 60 agli 80 millimetri – spiega Bernardo Gozzini, amministratore unico del Consorzio Lamma -. La temperatura del mare ancora troppo caldo a contrasto con un fronte freddo può favorire eventi meteorologici di questo tipo».

L’agricoltura è dunque la prima vittima del cambiamento climatico: «Frutta, vino e olio, i prodotti tipici della nostra regione, risentono di temperature invernali anomale che favoriscono riprese vegetative anticipate rispetto al passato – aggiunge Gozzini – e questo mette le piante più a rischio di subire gli effetti di gelate improvvise». Ma anche il caldo torrido estivo incide negativamente, perché le piante soffrono la mancanza d’acqua e riducono le loro attività, cambiando le caratteristiche organolettiche dei prodotti stessi.

Che i giorni di caldo anomalo siano in aumento lo raccontano i termometri: «A Firenze, con 49 giorni sopra i 35°C fra luglio e agosto e ben tre giorni consecutivi sopra i 40°C, l’estate appena trascorsa – conclude Gozzini – si classifica fra le più calde di sempre. Con queste temperature le piante soffrono. La situazione è tale che stanno cambiando gli areali di coltivazione: gli olivi hanno superato la barriera dell’Appennino e sono arrivati in Trentino, mentre le viti in Val d’Aosta vengono coltivate anche a 1100 metri di altitudine. Nelle zone dove sono tradizionali, invece, si stanno sperimentando nuove tecniche che prevedono sistemi di irrigazione anche per vigne e ulivi».

Eco-ansia

Gli effetti del cambiamento climatico non danneggiano solo l’agricoltura, ma hanno ripercussioni anche sulla salute umana. Un nuovo fenomeno si sta affermando nell’ampio spettro dei disturbi psicologici ed è definito eco-ansia. Consiste in uno stato cronico di paura rispetto ai danni sull’ambiente, timori per il futuro della vita del pianeta, ma anche nei confronti di eventi meteo particolarmente intensi: «Incertezza, imprevedibilità, precarietà minano le fondamenta della tenuta mentale.

Il maltempo, con i fenomeni meteo estremi, pesa anche sul piano psicologico. Ogni volta che si manifesta un disastro meteorologico, a maggior ragione se accade in un territorio già colpito in precedenza, è come se si riattivasse un trauma» afferma Maria Antonietta Gulino, presidente dell’Ordine degli Psicologi della Toscana. «Stiamo sviluppando una sorta di comportamento difensivo nei confronti dell’ambiente e, del resto, i cambiamenti climatici e i loro effetti devastanti mettono a dura prova, oltre che i luoghi fisici, anche quelli della mente – sottolinea la presidente Gulino -. Ansia climatica e stress colpiscono famiglie, anziani, bambini, soprattutto le fasce più vulnerabili della popolazione. Sconvolge non potersi considerare sicuri in casa propria, nel proprio ambiente di vita. Può causare panico, depressione e uno stato d’allerta dannoso. Se tale malessere perdura, diventa necessario parlarne con un professionista, uno psicologo».

In un contesto così imprevedibile, è fondamentale ricordare che i fenomeni meteorologici sono, comunque, passeggeri, hanno un inizio e una fine. Importante sempre seguire le indicazioni della Protezione civile, tenersi informati e attuare comportamenti adeguati alle situazioni che si presenteranno.

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