Il diritto al clima

Il riscaldamento globale ha innescato azioni giudiziarie in varie parti del mondo: riusciranno a cambiare le politiche degli Stati?

Ammettiamolo. Nonostante le chiare evidenze scientifiche, le grandi ambizioni di affrontare la crisi climatica rimangono assolutamente insufficienti. Le emissioni in atmosfera continuano a salire e le temperature a registrare record assoluti di crescita rispetto al passato. Non sorprende quindi che la transizione ecologica ed energetica sia diventata nell’ultimo decennio punto di partenza anche di importanti battaglie giudiziarie. Battaglie in cui si è puntato al riconoscimento di un nuovo diritto soggettivo: il diritto al clima.

Azioni legali

La vicenda promossa nel 2008 dalla fondazione ambientalistaUrgenda ha portato a una storica sentenza della Corte suprema olandese nel 2020 che ha ordinato al Governo di ridurre urgentemente le emissioni, in linea con i propri obblighi internazionali. Questo felice epilogo ha ispirato azioni simili in molti Paesi come Belgio, Francia, Germania, Spagna. Anche in Italia, con il caso “Giudizio universale”, avviato nel giugno 2021 contro lo Stato italiano, nella persona del presidente del Consiglio dei ministri. Le azioni legali climatiche, secondo il Global Climate Litigation Report 2023 della Columbia University, crescono continuamente sia per numero e varietà dei casi, sia per nuove aree geografiche coinvolte.

Ma chi sono i protagonisti di queste azioni legali? Le azioni nascono per lo più dalla società civile, con un approccio “dal basso verso l’alto”. Sono giovani, anziani, donne, categorie di persone più deboli e vulnerabili all’azione climatica, che sostenuti spesso da movimenti ecologisti fanno sentire la loro voce. Si rivolgono a diverse autorità giuridiche senza passare dai canali politici tradizionali, e utilizzando come strategia argomentativa la violazione dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti. Come ci fa notare Stefano Zirulia, professore associato di Diritto penale alla Università degli Studi di Milano, che ha curato il recentissimo volume What future for environmental and climate litigation?, «questi provvedimenti possono incidere profondamente sulla vita di tutti noi, non devono considerarsi stravaganti. La politica non dà risposte perché condizionata dalle lobbies, l’elettorato è poco consapevole, anche a causa della disinformazione veicolata proprio da chi si oppone al cambiamento, quindi incapace di incidere sulle scelte strategiche. Il contenzioso, la giurisprudenza, diventano allora la vera spinta per cambiare».

Il caso delle nonne svizzere

A conferma della validità di tali azioni, è la recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che lo scorso aprile ha condannato la Svizzera per l’inerzia nei confronti del cambiamento climatico, segnando un precedente significativo per i 46 Stati membri del Consiglio d’Europa. La sentenza è stata emessa grazie all’azione delle Anziane per il clima, un’associazione di oltre 2000 donne anziane, e ha stabilito che la Svizzera ha violato l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in cui si garantisce la tutela contro gli effetti dannosi del cambiamento climatico sulla vita, la salute e il benessere. La Svizzera dovrà ora adattare le proprie politiche climatiche alle necessità di donne, anziane, che sentono la loro vita più vulnerabile davanti a ondate di calore ed eventi meteorologici estremi. Zirulia evidenzia che «queste donne hanno compiuto un’azione emblematica e straordinaria, perché sono state in grado di denunciare un Governo per la sua inerzia e ottenere la pronuncia a loro favore di una Corte internazionale, di fatto compensando l’incapacità della politica di offrire risposte concrete a questi problemi. La giurisprudenza ha sancito così un nuovo diritto umano: il diritto al clima».

Sotto l’aspetto giuridico

Una vittoria fondamentale che ha rafforzato il percorso delineato dai più importanti accordi internazionali sul tema come la “Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite”, il “Protocollo di Kyoto” e l’“Accordo di Parigi”, fornendo uno strumento per la tutela dell’ambiente e della salute direttamente in mano a cittadini e associazioni. «Il diritto al clima, pur non essendo scritto in nessuna convenzione internazionale, è oggi già attivo e parte della terza generazione dei diritti fondamentali dell’uomo, quella dei diritti collettivi – riprende Zirulia -. Ricavato in maniera giurisprudenziale (sentenze di giudici) da altri diritti fondamentali, impone come tutti i diritti umani limiti netti alle scelte del legislatore. Dove c’è un diritto umano il legislatore si ferma e lo applica perché, in caso contrario, incorre in forme di responsabilità internazionale. Il valore legale di questo strumento è enorme».

Una nuova etica

Secondo Adriano Fabris, professore ordinario di Filosofia morale all’Università di Pisa, «le battaglie finora combattute e vinte, soprattutto in ambito europeo, hanno già cambiato il nostro modo di pensare. Ciò è avvenuto soprattutto grazie alle rivendicazioni delle giovani generazioni, ad esempio da parte del movimento Fridays for Future. C’è, infatti, un tema di giustizia intergenerazionale che è implicito nel discorso del diritto al clima. Cominciamo a renderci conto che, se vogliamo che vi sia un futuro per l’umanità, dobbiamo operare attivamente nel presente». Ma ce la farà un nuovo strumento giuridico a cambiare i comportamenti? «Il richiamo al diritto a un clima equilibrato per noi e per le future generazioni, cioè il “diritto a una stabilizzazione e sicurezza del sistema climatico” – risponde Fabris – è certo importante per sensibilizzare tutti a comportamenti responsabili. Tuttavia, è necessario agire più in profondità per modificare l’agire quotidiano delle persone. Da questo punto di vista un’educazione ai diritti e ai doveri che caratterizzano il nostro essere cittadini del mondo e una giustificazione etica di certi comportamenti possono motivarli in maniera più efficace di una semplice prescrizione».

Come natura crea

Cosa si intende per “diritto al clima”? In sintesi il diritto a godere di condizioni climatiche non influenzate dalle attività dell’uomo. Già nel 2002 Paul J. Crutzen, premio Nobel per la chimica 1995, aveva introdotto nel dibattito scientifico il termine Antropocene, per indicare la nostra epoca geologica in cui è l’essere umano con le sue industrie, miniere, costruzioni, tecnologie, e non più la natura, a generare le modifiche strutturali, geologiche e climatiche del Pianeta.

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