Nati al tempo del Covid

A fronte di una fotografia dell’Italia che vede un forte calo delle nascite (secondo l’Istat nel 2020 poco più di 400.000, 16.000 in meno rispetto al 2019), c’è ancora chi con coraggio scommette sulla vita, nonostante l’emergenza sanitaria in corso e la difficile situazione economica.

Certamente, partorire al tempo del Coronavirus ha accentuato le ansie che già caratterizzano un momento così particolare della vita di una donna, complici anche le maggiori e necessarie restrizioni sanitarie, che rendono più difficile condividere il percorso della gravidanza e del parto con il proprio compagno, familiari e amici. Ma, nonostante tutto, lanascita di un figlio o di una figlia resta un momento unico e indescrivibile, e il sorriso e la gioia di quell’attimo di pura felicità continuano a leggersi anche sotto la mascherina.

«All’avvicinarsi della data del parto la donna effettua un tampone, se risulta negativa al Covid anche il futuro padre può partecipare, ma solo in sala parto e nelle due ore successive alla nascita. Non può stare con lei durante il travaglio, né durante la degenza, né durante le visite o le ecografie nei mesi della gravidanza» spiega Paolo Gacci, ginecologo del reparto di ostetricia e ginecologia dell’Ospedale Santa Maria Annunziata di Bagno a Ripoli (Fi), diretto da Alberto Mattei. E quello della presenza dei babbi non è l’unico cambiamento: «All’arrivo in ospedale per il parto, viene fatto un altro tampone, se sono passate più di 72 ore dall’ultimo fatto. Il babbo nel frattempo aspetta in sala d’attesa e, solo se l’esito è negativo, può entrare in sala parto. All’inizio della pandemia la risposta arrivava dopo varie ore, e nell’attesa dovevamo trattare la paziente come se fosse positiva».

E in caso di donne positive al Covid? «Nel caso di paziente positiva, ma asintomatica, la Regione Toscana ha organizzato un percorso dedicato per cui le donne vengono trasferite verso gli ospedali di Careggi o Prato. Per quelle positive che si presentano in ospedale con parto imminente, abbiamo l’obbligo di assistenza “in vestizione da Covid”».

«L’emergenza sanitaria ci ha costretto a ripensare la nostra professione, sia dal punto di vista pratico che della relazione con la paziente» afferma Arianna Maggiali, direttore Ostetricia professionale Ausl Toscana Centro, che coordina i sette punti nascita e le attività sul territorio nelle province di Firenze, Prato, Pistoia ed Empoli. «Ma abbiamo cercato di trasmettere sempre sicurezza e serenità, per far sì che le donne, soprattutto quelle positive, nonostante la paura della situazione si sentissero sempre accolte, e la nascita di un figlio rimanesse un momento di gioia».

E per quanto riguarda i corsi pre-parto? «Non poterli più fare in presenza è stata sicuramente una perdita, ma abbiamo organizzato incontri on line, creato pillole video di presentazione dei punti nascita, un indirizzo di posta elettronica dedicato per rispondere alle domande e ai dubbi che emergono nel corso dei nove mesi. Dopo la dimissione dai punti nascita, abbiamo telefonato per sapere se avevano bisogno di una visita domiciliare o ai consultori».

La parola alle mamme

«In sala parto per fortuna è potuto entrare il mio compagno» dice Daniela, imprenditrice, che a settembre ha partorito il suo primo figlio all’ospedale di Santa Maria Annunziata, e che ha terminato il terzo mese di gravidanza proprio nella settimana di inizio lockdown. «Siamo tornati a casa e ho iniziato a prendermi cura di lui, anche se mia mamma e mia suocera sono sempre a disposizione per un consiglio, seppure a distanza. Durante la gravidanza e anche dopo mi sono rivolta a una ostetrica a domicilio». Cosa ti è mancato di più? «Condividere e far conoscere subito mio figlio ai miei familiari, agli amici. Ancora non sono tornata al lavoro, anche per tutelare il bambino, e i nonni lo vedono pochissimo».

Francesca, impiegata, anche lei alla sua prima gravidanza, ha partorito un maschietto a gennaio all’Ospedale San Giuseppe di Empoli. Il suo è stato un parto un po’ difficile. «Sono stata ricoverata in modo programmato, ho fatto il parto con induzione perché avevo il diabete. Con il mio compagno ci siamo salutati sulla porta prima del ricovero e l’ho rivisto due giorni dopo, in sala parto, e poi quando mi hanno dimesso». Una volta a casa? «Poco dopo il parto sono risultata positiva al Covid e così sono rimasta isolata in camera con il bambino per una settimana, in attesa del secondo tampone, per fortuna negativo. La gioia di essere diventata mamma rimane, anche se non era così che mi immaginavo la nascita del primo figlio».

Alla prima gravidanza anche Elisa, commessa, che a gennaio ha dato alla luce suo figlio all’Ospedale Santo Stefano di Prato. Anche lei ha potuto avere il suo compagno accanto durante il parto, ma è rimasta sola per il travaglio. «Nella camera dove ero ricoverata nei giorni dopo il parto per fortuna c’era una ragazza che conoscevo, ci siamo fatte compagnia. Nonostante telefonate e videochiamate, mi è mancato non aver potuto ricevere visite, anche se stare da sola con mio figlio mi ha permesso di vivere il momento pienamente».

Info utili

La ricerca

Sulla maternità ai tempi del Coronavirus, è in corso anche uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità e della Società Marcé Italiana per la Salute Mentale Perinatale, sui vissuti delle donne. Per partecipare: isssurvey.iss.it

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