Quando arriviamo al Cnr, al Polo Scientifico di Sesto Fiorentino, veniamo introdotti in un “covo di fisici”, come si autodefiniscono scherzosamente all’ingresso: un gruppo di ricercatrici, esperte in ottica e fotonica (laser e led), che lavorano sull’interazione fra la luce e la materia vivente. Ovvero l’ottica e la fotonica applicate alle scienze della vita: medicina, biologia, ma anche agricoltura. Quella detta di precisione, o agricoltura 3.0.
Il pioniere fu Giovanni Agati, che intuì le potenzialità di sistemi fotoacustici per fare una sorta di ecografia con la luce. Dunque metodi ottici non invasivi, tecniche – ad esempio – di spettrofluorimetria per la localizzazione e la quantificazione di composti bioattivi in tessuti vegetali. Ma cosa significa tutto questo per la nostra agricoltura?
Francesca Rossi è primo ricercatore presso l’Istituto di Fisica Applicata Nello Carrara del Cnr, nonché titolare di 8 brevetti. Racconta di un progetto a cui collabora e che è coordinato da un’altra donna, Lucia Cavigli, ricercatore dello stesso istituto, per determinare quanto queste tecnologie possano essere utili al miglioramento della produzione del vino. Il circolo virtuoso passa dalle Demo Farm, ovvero aziende agricole con partner istituzionali, che servono per studiare l’applicazione e l’efficacia delle nuove tecnologie rispetto a cibo e agricoltura.
L’occhio elettronico
Lo strumento al centro della ricerca è un dispositivo dotato di Led di diverso colore che “illuminano” il grappolo d’uva, in vari momenti della maturazione. In risposta anche la pianta emette una luce, e rivela il suo stato di salute, la maturazione e altre informazioni. Questo “occhio elettronico” si chiama fluorimetro portatile. «Per il momento ne viene fatto un uso manuale – racconta Francesca Rossi – ma presto avremo a disposizione modelli più aggiornati da montare su macchine, trattori, droni».
Grazie a queste nuove tecnologie, si sta sperimentando una diversa gestione del vigneto, come spiega Lorenza Tuccio, enologa, con un dottorato in produzioni vegetali ed esperta di ricerca e innovazione in agricoltura. «La gestione del vigneto è sempre stata molto omogenea. Con l’agricoltura di precisione, grazie ai sensori che usiamo, siamo andati a studiare se effettivamente i vari vigneti, di solito considerati come un’unica entità, fossero veramente così uniformi. Grazie al Gps, i dati georeferenziati ci hanno consentito di realizzare delle mappe delle vigne e di studiarne la variabilità, un’informazione preziosissima per il produttore, che può così lavorare sulle differenze esistenti. Con le mappe abbiamo definito zone precise per la vendemmia, che si è svolta separando le uve in base alle differenti caratteristiche di maturazione e non solo. Il viticoltore ha scoperto di poter produrre, anche in un vigneto molto piccolo, vini che sono risultati molto diversi fra loro».
Il futuro è qui
L’agricoltura 3.0 trova spazio anche in altri ambiti agricoli, ad esempio nella fertilizzazione delle orticole, dove l’uso di prodotti chimici, come i nitrati, può essere ridotto. O ancora nella gestione di piante ornamentali, settore dove l’uso di fertilizzanti è spesso eccessivo: gli strumenti tecnologici avanzati possono aiutare a mantenere inalterato il contenuto di azoto delle piante e a ridurre all’indispensabile il dosaggio dei fertilizzanti. «La pianta non viene toccata – dice Lucia Cavigli -, né distrutta, né sezionata, tutto è fatto in vivo».
Le menti delle nostre scienziate partoriscono idee e non si fermano: «Siamo già nell’agricoltura 4.0 – dice Lorenza Tuccio -. Una vera e propria rivoluzione: oltre alla precisione dei trattamenti avremo anche la comunicazione fra tecnologie e sistemi che riescono ad agire su tutta la filiera, dal campo alla distribuzione. Con una acquisizione di dati a livello globale mai vista prima».