Se per molti libertà è sinonimo di individualismo, inteso come la tendenza a far prevalere gli interessi personali su quelli collettivi, il sociologo ed economista dell’Università Cattolica di Milano Mauro Magatti, con il suo ultimo libro Generare libertà (Il Mulino) – scritto a quattro mani con la collega Chiara Giaccardi – dimostra che è proprio il contrario e che la libertà dell’uomo è piena solo quando è generata da azioni collettive o comunque nel rispetto di chi gli sta intorno.
Quando lo chiamiamo via whatsapp si trova alla periferia di Nairobi in Kenya: «L’Africa è un prezioso laboratorio per noi sociologi perché più chiaramente di altri luoghi mostra come la devastazione dell’individualismo di matrice occidentale sia più evidente fra i ricchi, mentre scendendo man mano nelle classi sociali lasci il posto ad un forte sentimento collettivo vitale e rivolto al futuro».
E quando torna in Occidente cosa vede?
Che nonostante le migliori condizioni economiche e un benessere relativamente diffuso si fa un’enorme fatica a creare relazioni umane e a sperare nell’avvenire. Dopo il Covid siamo diventati ancora più chiusi ed egoisti, ma il mondo ci sta dicendo che non si può andare avanti così.
Le guerre, la crisi ambientale, le disuguaglianze crescenti, le migrazioni, sono i segnali che stiamo vivendo una fase di trasformazione che non è possibile arrestare e che la crescita basata sull’individualismo è giunta al termine.
L’epoca dell’individualismo è dunque alla fine?
Lo slancio economico di stampo liberista che ha attraversato tutto il Novecento, trovando il suo apice in particolare negli anni Ottanta e Novanta, si è basato sulla convinzione che il progresso dipendesse essenzialmente dalla libertà individuale. Questa visione del mondo si scontra con l’evidenza, dimostrata anche dalla scienza, che siamo tutti interconnessi. Che la nostra vita, quella delle piante e degli animali sono collegate, così come sono strettamente in relazione le condizioni climatiche nelle diverse parti del globo, quelle economiche e persino le guerre ora in corso.
Come passare dal paradigma individualista a quello collettivo?
Sono tre i pilastri sui cui basare il processo di trasformazione: la scuola, le organizzazioni e il territorio. Sarà necessario un ripensamento del modello scolastico e universitario al fine di favorire la creatività in chiave comunitaria. Lo stesso vale per il mondo del lavoro e anche per l’amministrazione della cosa pubblica: il territorio va stimolato, però deve passare il concetto che non si può solo pretendere servizi, ma anche attivarsi e offrirne, partecipando alle discussioni e alla gestione dei beni di tutti.
La tecnologia è un aiuto o un ostacolo per una visione collettiva della società?
La tecnologia di per sé non è né buona né cattiva, dipende da come la si usa: per questo dico che è come un farmaco che può curare, ma anche avere effetti collaterali, se non usato come indicato. Nella tecnologia è insita una tendenza alla verticalizzazione dei rapporti e al controllo sociale, ed è quello che si teme possa avvenire con l’intelligenza artificiale, che però porterà numerosi progressi nel campo della medicina e delle scienze in generale. Serviranno non solo leggi e regolamenti, ma una riflessione sulle finalità dell’uso della tecnologia per disinnescarne gli effetti negativi.
Secondo lei l’umanità è pronta per rinunciare all’individualismo? Sembrerebbe proprio il contrario.
Il momento di trasformarsi e cambiare è adesso, per questo abbiamo scritto questo libro, dobbiamo cogliere i segnali che ci arrivano, e ora ce ne sono davvero molti.