La stagione del cacio

Anche i prodotti caseari sono legati all’andamento climatico

A ogni formaggio il suo momento. Non solo frutta e verdura hanno un calendario annuale, anche per i prodotti caseari esiste una stagionalità, visto che la materia prima con cui prendono forma – il latte – dipende dal bioritmo del bestiame e da come la situazione atmosferica condiziona i pascoli, che a loro volta sono influenzati dalle caratteristiche del suolo.

Allo stesso modo del vino, il “cacio” ha un suo terroir, un mix fatto di territorio, microclima e tocco dell’uomo, che rende unica ogni etichetta. E questo, in Italia, è ancora più vero per le produzioni artigianali legate a pecore e capre. «A differenza di importanti esportatori europei, come Francia e Spagna, da noi la gran parte degli ovini e dei caprini non vive in allevamenti intensivi, ma all’aria aperta, libera di muoversi e nutrirsi delle erbe spontanee. Per questo siamo profondamente legati all’andamento climatico», spiega Luciano Nucci, presidente del Caseificio di Sorano, cooperativa che mette in rete 130 allevatori fra la provincia di Grosseto e le zone confinanti di Umbria e Lazio.

Calendario e regole d’oro

Il periodo migliore è da fine marzo a maggio (meteo permettendo), quando i pascoli si colorano di verde liberando gli aromi delle erbe selvatiche. Con la primavera, le pecore riprendono a generare latte, per giungere al picco di maggio. Poi la quantità diminuisce gradualmente, quasi azzerandosi in autunno. Così a marzo debuttano sui banchi i primi formaggi freschi, pronti da gustare dopo un riposo di pochi giorni. Guarda caso, il prodotto tipico si chiama proprio “marzolino”. Quello del Caseificio di Sorano arriverà nei Coop.fi dal 15 al 31 marzo in promozione per i soci. D’estate spazio ai pecorini semistagionati, mentre in autunno e inverno sono protagoniste stagionature più lunghe, dai sei mesi in su.

Come scegliere quindi un buon formaggio? Prima di tutto attenzione ai tempi e al costo. «Se in inverno troviamo in assortimento prodotti tipicamente primaverili, non sottovuoto, c’è qualcosa che non torna. Analogamente un prezzo troppo inferiore alla media di mercato ci mette in guardia su una possibile mancanza di qualità», avverte Nucci. Terzo elemento, la provenienza del latte, meglio se italiana, che deve essere riportata in etichetta. Infine se dopo qualche giorno troviamo una piccola muffa sulla crosta, non scandalizziamoci, «come facevano i nostri nonni basta grattarla via, vuol dire semplicemente che la forma non è stata trattata con conservanti».

Bizze del clima

Negli ultimi decenni i cambiamenti climatici stanno impattando anche su questo settore. «Gli animali non amano il gelo e il caldo eccessivo – chiarisce il presidente del Caseificio di Sorano -. In una primavera fredda e piovosa la produzione di formaggi ovini è più lenta, mentre con temperature miti si hanno quantitativi abbondanti. Al contrario un’estate molto secca o in anticipo ingiallisce i pascoli e provoca un calo, come è successo l’anno scorso. Ci sono inoltre effetti sugli anni successivi, poiché lo stress climatico causa un crollo nel tasso di procreazione degli agnelli».

Dagli animali, all’uomo. L’altra allerta riguarda l’abbandono delle campagne e il mancato ricambio generazionale tra gli allevatori, un mestiere a cui il clima imprevedibile crea sempre più difficoltà e aumenta il pericolo di perdite economiche. «Non è un lavoro attrattivo per i giovani. Politiche come quelle di Unicoop Firenze, che valorizzano sui banchi del supermercato realtà casearie locali, certo aiutano molto, serve però un intervento delle istituzioni, perché in pochi anni rischiamo di perdere una ricchezza per l’intera Toscana».

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