Gli Inca nella loro lingua, il quechua, chiamano la quinoa chisiya mama, ovvero la “madre di tutti i semi”. Tipica dell’America Latina, si è guadagnata questo appellativo non certo casualmente.
Adesso però esiste anche la quinoa 100% made in Italy, anzi made in Unifi, acronimo di Università di Firenze. «In realtà questo progetto ha quasi 25 anni» racconta Paolo Casini, docente di Agronomia e coltivazioni erbacee all’Ateneo fiorentino. Cinque lustri di tentativi per adattare alle condizioni climatiche del nostro territorio questa preziosa pianta che molti studiosi propongono come fonte di proteine vegetali in alternativa alla carne.
Mille virtù
Si tratta di una pianta erbacea annuale, della stessa famiglia degli spinaci e della barbabietola. Dalla macinazione dei semi si produce una farina ricca di amido, dall’alto contenuto proteico e totalmente priva di glutine. Come l’amaranto o il grano saraceno, che non fanno parte della famiglia botanica dei cereali, ma da cui è possibile ottenere farine, è definita uno pseudocereale.
Rispetto agli altri, la quinoa ha delle caratteristiche uniche. Ricchissima di betaina – una sostanza che si estrae dalla barbabietola da zucchero e che ha proprietà epato e neuro protettive, oltre che di protezione dell’apparato circolatorio -, per il suo alto contenuto proteico ha rappresentato la base della dieta degli Inca, e per questo venerata come sacra per 5000 anni.
Presenta più di 200 varietà ed è sempre stata coltivata sugli altopiani pietrosi delle Ande, ad altitudini comprese fra 3.800 e 4.200 metri. Altezze difficilmente immaginabili dalle nostre parti. Eppure da qualche tempo la quinoa è entrata a far parte della dieta degli italiani. Come detto – non contenendo glutine – è perfetta per i celiaci, purtroppo in costante aumento. Ma la diffusione nel nostro Paese della “madre di tutti i semi” è dovuta anche al costante aumento di vegetariani e vegani, che trovano così un ulteriore arricchimento della loro dieta. Basti pensare che l’Italia ha il più alto tasso di vegetariani in Europa (il 10% della popolazione), e nel mondo si posiziona al quarto posto dopo Taiwan, Israele e India, prima sul podio.
Made in Unifi
Il progetto dell’Università di Firenze ha preso vigore con la diffusione commerciale della quinoa, ma contrariamente alle aspettative la problematica che si è presentata per la coltivazione non ha riguardato l’altitudine. «La questione gira tutta intorno al così detto “foto periodo”, ovvero il rapporto fra ore di luce e ore di buio. Siamo andati a individuare delle popolazioni, tra le razze botaniche di quinoa, che provengono da aree con un foto periodo simile al nostro. Poi abbiamo provveduto a incrociare diverse linee di piante».
Naturalmente non parliamo di organismi geneticamente modificati (Ogm), ma del metodo classico di miglioramento genetico. «Per fare gli incroci – dice Casini – abbiamo valutato alcune caratteristiche. Prima di tutto la trattabilità delle piante alle nostre latitudini, poi ci siamo occupati di verificare la durata dei cicli di maturazione: per poter raccogliere prima di agosto, abbiamo valutato la tolleranza al freddo per iniziare a piantare a gennaio e sfuggire alle siccità precoci; infine abbiamo esaminato la quantità di semi prodotti». Ed ecco che, da questi numerosi incroci, è nata la quinoa di Unifi. «È stato un lavoro lungo, ma ci siamo riusciti», commenta Casini, non senza soddisfazione.
Finalmente il passaggio verso la sua commercializzazione con il nome di Quipu, grazie a un accordo sottoscritto dall’Ateneo fiorentino e dall’azienda sementiera biologica emiliana Arcoiris che partecipa a una filiera nazionale per la produzione, distribuzione e trasformazione del prodotto, con coltivazioni in provincia di Piacenza e nelle Marche. «Oggi questa filiera coltiva e lavora la nostra varietà e la commercializza grezza, soffiata o come farina – precisa Casini -. Come avviene con il riso, la quinoa si può usare per la colazione, per arricchire insalate, per preparare biscotti o crocchette».
Quipu è tutelata con i diritti di proprietà intellettuale come nuova varietà vegetale comunitaria e contribuisce a fare dell’Italia il secondo mercato al mondo per questo prodotto. Un mercato che continua a crescere.