Puntare sulla natura, e non solo su alberi e piante ma anche sugli animali, per salvare il pianeta. Grazie a un cambio di paradigma nell’attribuzione di valori economici e finanziari. La Nbe (Nature Based Economy, cioè economia basata sulla natura) è molto più di un’utopistica teoria filosofica, perché Ralph Chami, che l’ha elaborata, ne ha analizzato costi e benefici, arrivando alla conclusione che aiutare la sopravvivenza di piante e animali non ha solo costi, ma porta profitti. E dovremmo credergli perché Chami è un economista, vicepresidente dell’Institute for Capacity Development del Fondo Monetario Internazionale, e di soldi e conti se ne intende.
«L’economia basata sulla natura (Nbe) riconosce che la natura è la nostra casa. Se essa prospera, noi prosperiamo, e se è stressata, soffriremo sicuramente». L’Nbe prevede la costruzione di mercati attorno a una natura viva e fiorente, mentre adesso la natura vale, in denaro, solo se “morta” o “sfruttata”. «Ad esempio, se chiedessi qual è il valore monetario di un albero, la maggioranza delle persone penserebbe al prezzo del legname, cioè di un albero morto. Invece mi riferisco al valore di un albero vivente, che fornisce ombra, cattura il carbonio, emette ossigeno».
Come si fa a monetizzare i processi naturali?
Analizzando i servizi che offre la natura a fronte del nostro impatto su di essa e di come questo ricade su di noi. In questo modo possiamo cambiare il comportamento delle persone, delle imprese e delle istituzioni verso la natura, per garantire una prosperità sostenibile e condivisa per tutti.
Proteggere la natura non è solo un costo, quindi?
Quando pensiamo a proteggere una foresta o l’oceano o ancora animali come elefanti, ghepardi, bonobo, la prima domanda che viene in mente è: quanto costerà? L’economia basata sulla natura risponde attribuendo un valore che può essere monetizzato, per cui i mercati possono essere costruiti attorno alla protezione, al ripristino e al ringiovanimento di esseri viventi. Come nel mercato del carbonio: i Paesi che possiedono foreste di mangrovie possono vendere crediti corrispondenti alle emissioni di CO₂ incamerate da queste piante ad aziende che vogliono ridurre la propria impronta di carbonio! I soldi della vendita del carbonio (e non della vendita delle mangrovie!) possono servire per conservare la foresta in perpetuo e garantire una vita migliore a chi le protegge: le popolazioni indigene e le comunità locali. Quindi, la conservazione diventa redditizia!
Anche la salvaguardia degli animali può diventare un profitto e allo stesso tempo aiutare l’ambiente?
In genere, pensiamo di piantare alberi come soluzione naturale all’inquinamento. La scienza ci ha dimostrato che non solo la flora, ma anche la fauna svolge un ruolo chiave nella lotta al cambiamento climatico. Ad esempio, il fitoplancton cattura in un anno tanta anidride carbonica quanto quattro foreste amazzoniche. Le balene, che di esso si nutrono, immagazzinano il carbonio che poi viene espulso e ingerito da altri pesci. Al termine del ciclo vitale si deposita sul fondo dell’oceano dove resta per millenni. Quindi, una balena contribuisce alla salute del pianeta come migliaia di alberi. Nell’oceano, fanno lo stesso lavoro anche le alghe e le paludi salmastre. Ne ho stimato il valore di mercato: il “servizio di assorbimento” del carbonio da parte di una balena supera i 3 milioni di dollari, quello di un elefante i 2,5 milioni di dollari e le alghe in tutto il mondo i 3 trilioni di dollari.
Anche gli elefanti contribuiscono alla riduzione di anidride carbonica?
Un articolo del ricercatore dell’Università della Tuscia, Fabio Berzaghi, sulla rivista “Nature” (2020) mostra come gli elefanti della foresta contribuiscano in una percentuale fra il 7 e il 14% all’assorbimento di carbonio da parte degli alberi. Lo fanno schiacciando piccoli germogli – favorendo così la crescita di piante più anziane, grazie a una miglior esposizione alla luce e a un più proficuo assorbimento di acqua e sostanze nutritive -, mangiando piante a basso contenuto di carbonio e disperdendo semi nel terreno attraverso le feci. Non stiamo parlando degli elefanti che le persone ammirano durante i safari in Africa, ma di quelli della foresta soprannominati “ingegneri forestali”.
Quale potrebbe essere il contributo per ridurre l’inquinamento atmosferico e arrestare il riscaldamento globale?
Secondo il rapporto dell’Ipcc, gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu, la natura può aiutarci a combattere il cambiamento climatico catturando oltre il 37% dei gas serra nell’atmosfera. Ma dobbiamo muoverci velocemente, la riduzione della biodiversità potrebbe segnare la fine dell’umanità.
Raramente si riflette sul fatto che per arrivare a noi le merci viaggiano spesso per migliaia di chilometri, producendo anidride carbonica e altri inquinanti…
È vero, e non è solo per la CO₂ che viene emessa nell’aria: il trasporto marittimo mette in pericolo la vita degli animali che vengono colpiti dalle navi. Ci sentiamo liberi di abusare dell’oceano, senza considerarlo un sistema vivente, riempiendolo di rifiuti in plastica, reti fantasma e favorendo l’inquinamento acustico.
Quanto costa al Pianeta un giocattolo cinese venduto per pochi euro in Europa?
Se il giocattolo è trasportato in aereo o in nave, il suo prezzo dovrebbe riflettere anche i costi della CO₂ emessa, dell’inquinamento acustico, dell’uccisione di creature oceaniche durante il tragitto. Lo stesso vale per altre merci. Abbiamo bisogno di un modo diverso per calcolare i veri costi di produzione e spedizione dei prodotti. La Nbe fa esattamente questo, rivelando il reale impatto sulla natura in termini pecuniari.
Ci sono speranze di cambiamento secondo lei?
Finché valuteremo la natura “zero”, questo comportamento continuerà. Solo una volta compreso il vero valore di un essere vivente, potremo capire il reale costo delle nostre azioni sulla natura. Questo ci porterà a cambiare il nostro comportamento. Dobbiamo farlo, finché siamo ancora in tempo.