Quest’anno la Liberazione passa dalla scuola. Per usare le parole dello scrittore e drammaturgo Stefano Massini, «perché l’educazione è il baluardo oltre cui c’è il buio».
È un caso se alcuni anni fa, prima di conquistare il potere, i talebani diedero il via a una stagione di terrore, avvelenando le bambine e le ragazze che frequentavano la scuola, come avvenuto anche in Iran oggi? Certo che no. I regimi – come quello degli ayatollah o dei fascismi del ‘900 – non fanno mistero nel dire pubblicamente che il pericolo maggiore arriva dagli studenti, dalle studentesse, dalle scuole e dalle università, dalla cultura, dal pensiero libero e critico.
Da Gramsci a don Milani
Impossibile non ripensare oggi alle parole di Antonio Gramsci quando scriveva: «Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini».
E allora non è possibile neanche non pensare a quel libro-manifesto, pietra miliare, che fu Lettera ad una professoressa, che il priore di Barbiana don Lorenzo Milani scrisse con i suoi studenti e che a quasi sessant’anni dalla sua pubblicazione continua ad essere un grande monito. Un monito a non fare della scuola «un ospedale per persone sane», adatto solo ai «figli dei medici». Come nella lettera in cui Milani scrive: «Io vorrei dei professori che accogliessero i miei ragazzi con riverenza e invece ho trovato solo pozzi di chiusura al mondo esterno».
Mario Lancisi, giornalista e autore di numerosi saggi proprio su don Milani, per il centenario della nascita di don Lorenzo (27 maggio 1923) ha pubblicato Don Milani. Vita di un profeta disobbediente (Edizioni Terra Santa). «Nell’anno del centenario ho voluto scrivere, raccogliendo l’insieme degli studi e degli incontri di mezzo secolo, una sorta di biografia definitiva per mettere pace tra il priore e le mie inquietudini» spiega.
Lancisi racconta di aver conosciuto il mondo e gli scritti di don Milani in seguito a una bocciatura al ginnasio. «Da figlio di mezzadri mi sono ritrovato a frequentare il liceo classico e in quarta ginnasio venni respinto. Incerto se ripetere o andare a lavorare, qualcuno mi suggerì di leggere Lettera a una professoressa. Già l’incipit iniziò a farmi sobbalzare il cuore. “Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che respingete. Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate”. Per me quella pubblicazione – arrivata solo un mese prima dalla morte di un don Milani giovanissimo – fu il grande detonatore del ‘68 in Italia».
Professori oggi
Dalla Lettera ad una professoressa alla lettera di “una” professoressa, il passo è breve: la dirigente scolastica del Leonardo da Vinci di Firenze Annalisa Savino che – dopo il pestaggio squadrista davanti al liceo Michelangiolo – ha deciso di scrivere ai suoi studenti, ricordando Antonio Gramsci e la sua frase «odio gli indifferenti».
«Il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a se stessa da passanti indifferenti – ha scritto ai suoi studenti Annalisa Savino -. “Odio gli indifferenti” diceva un grande italiano, Antonio Gramsci, che i fascisti chiusero in un carcere fino alla morte, impauriti come conigli dalla forza delle sue idee.
Inoltre, siate consapevoli che è in momenti come questi che, nella storia, i totalitarismi hanno preso piede e fondato le loro fortune, rovinando quelle di intere generazioni. Nei periodi di incertezza, di sfiducia collettiva nelle istituzioni, di sguardo ripiegato dentro al proprio recinto, abbiamo tutti bisogno di avere fiducia nel futuro e di aprirci al mondo, condannando sempre la violenza e la prepotenza».
«Vivo, sono partigiano – scriveva Gramsci -. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti». Buon 25 aprile.