A tu per tu con Stefano Nazzi

Intervista all'autore del podcast "Indagini", che a marzo è stato al Teatro Verdi di Firenze con uno spettacolo dedicato alla vicenda del mostro di Firenze

Ogni volta che si parla del mostro di Firenze, l’attenzione dei fiorentini e dei toscani si riaccende, come se non fossero passati ormai quasi quarant’anni dall’ultimo delitto. Così è stato anche con lo spettacolo di Stefano Nazzi – giornalista e autore del celebre podcast Indagini sui casi di cronaca italiana – che al “mostro” ha dedicato un tour dal vivo, che a marzo ha fatto tappa anche al Teatro Verdi di Firenze. 

«Il caso del mostro di Firenze è forse il più emblematico della nostra storia a livello criminale, dal momento che in Italia non avevamo nemmeno idea dell’esistenza dei serial killer – ha raccontato il giornalista -. L’attenzione su questa storia ha portato a un’infinità di teorie, dalle più complottiste a quelle più stravaganti. Il mio obiettivo è quindi quello di provare a rimettere ordine in questo caso, raccontando cronologicamente cosa è successo anche a livello processuale. Ero anche un po’ ansioso di portare questo caso a Firenze e, a raccontare a voi una storia che è vostra». 

In effetti da quel lontano 1968, anno del primo degli otto duplici omicidi, molti luoghi sono inesorabilmente legati a quei fatti: Signa, Borgo San Lorenzo, Scandicci, Travalle a Calenzano, Baccaiano a Montespertoli, Giogoli, di nuovo nel Comune di Scandicci, Boschetto di Vicchio e Scopeti a San Casciano Val di Pesa. E resta ancora il dubbio che il vero autore dei delitti non sia mai stato scoperto e che i “compagni di merende”, gli indagati, e anche condannati, Pietro Pacciani, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, fossero solo delle pedine di un gioco più grande di un mondo “più importante”. «Scelgo le storie che secondo me vale la pena rimettere in ordine, per spiegare cosa è successo e cosa sappiamo di certo: tutto il resto è, come si dice, “fantacriminologia”» spiega.

I suoi podcast sono seguitissimi, perché?

Il mio obiettivo è raccontare la cronaca, spogliandola da tutte quelle piste fantasiose, le ipotesi che non hanno nessuna base solida e quegli elementi più spettacolari che servono solo a cercare emozioni. Si tratta di riportare la cronaca al racconto giornalistico di quello che è effettivamente accaduto, di quello che sappiamo di certo.

Secondo lei il podcast è uno strumento utile per avvicinare i giovani a un’informazione di qualità?

Il podcast è uno strumento straordinario per poter raccontare le storie, grazie all’uso della voce, alle pause, all’enfatizzazione di alcune parole, oltre che alla musica e agli inserti audio. Inoltre, è uno strumento che puoi ascoltare facendo anche altre cose, quindi è perfetto per il pubblico più giovane.

Che consigli darebbe a una persona che si vuole avvicinare al mondo del podcast?

Il mio consiglio è quello di avere qualcosa di interessante da dire. In questo momento c’è un’offerta assai ampia di podcast, alcuni dei quali molto specifici e di nicchia. Nei podcast trovi anche delle voci che non riesci a sentire altrove, o perché sono state praticamente escluse dalla tv, o perché sono giovani che non troverebbero altri spazi. Io ricordo sempre che Cecilia Sala ha iniziato con un podcast, e potrei citarne molti altri. Ma non basta avere qualcosa da dire, bisogna anche saperlo raccontare, e saperlo raccontare vuol dire saperlo scrivere, perché tutto parte dalla scrittura».

Qual è il mezzo di comunicazione che preferisce fra giornale, podcast, libri e spettacoli dal vivo?

In questo momento, quello che preferisco sono gli spettacoli dal vivo in teatro, perché si tratta sempre di un podcast ma con una platea di spettatori che ascoltano. È veramente emozionante parlare davanti a un pubblico, perché riesci a percepire quella condivisione che si può creare solo con chi ti ascolta.

Bene a sapersi

Il podcast è una forma di racconto audio, suddiviso generalmente in stagioni ed episodi,  (come una serie tv), che si ascolta su Internet on line, o si scarica sul tablet o sullo smartphone.

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