La Cooperativa Valle del Marro
La Cooperativa sociale Valle del Marro affonda le sue radici nel 2005, quando un gruppo di giovani decide di ribellarsi alla mentalità diffusa di un territorio fortemente permeato dalle mafie, a partire dalla famiglia, nell’associazionismo, nel cortile dell’oratorio.
Successivamente, cogliendo l’opportunità offerta dalla legge 109/96 e da un progetto di Libera, nel dicembre del 2004, danno vita alla cooperativa Valle del Marro – Libera Terra, per la gestione dei terreni agricoli confiscati alla ‘ndrangheta nella Piana di Gioia Tauro.
Nonostante le ritorsioni della mafia, i sabotaggi, i furti, i giovani della Valle del Marro continuano a portare avanti il loro progetto economico, etico e sociale, coltivando prodotti biologici e contribuendo allo sviluppo di un modello di agricoltura sociale che genera lavoro etico e un sistema economico virtuoso basato sui principi della legalità.
Antonio Napoli, 47 anni, oggi vicepresidente della Cooperativa Valle del Marro, è uno di quei giovani.
L’importanza delle scelte
Cosa vuol dire impegnarsi nella legalità oggi, in una terra difficile come la Calabria?
Ci siamo ribellati alla mentalità che ha lasciato vittime sul territorio, che ha abbandonato una comunità alle mafie, facendo prosperare le organizzazioni criminali e l’illegalità.
Lo abbiamo fatto maturando la nostra ribellione nelle famiglie, poi in modo più strutturato nell’ambito dell’associazionismo cattolico, e poi avviando una cooperativa sociale per la gestione dei terreni confiscati alle mafie, fortemente convinti che noi giovani dovevamo essere i protagonisti del cambiamento, e non i criminali.
Fare la scelta della legalità ha significato scegliere di rimanere sul territorio, affrontare i problemi, le mafie che frenavano lo sviluppo, e negavano ogni diritto.
E lo abbiamo fatto negli stessi luoghi che prima rappresentavano il potere dei boss mafiosi, e che ora sono invece luoghi di riscatto: i terreni agricoli che ora sono affidati alla cooperativa e poi il Centro polifunzionale Don Pino Puglisi nella piazza di Polistena.
Quali rinunce hai dovuto fare per portare avanti questa battaglia della legalità?
Il mio percorso di vita è quello di un giovane che alla ricerca di una formazione va via dal proprio territorio, immaginando di costruire il proprio futuro fuori dalla sua terra, alla ricerca di un territorio più tranquillo dove costruire e affermare le proprie competenze.
Gli anni del liceo sono stati segnati dalla paura, dal rifiuto di un territorio segnato dallo scontro tra cosche mafiose che si contendevano il potere. Però poi ho sentito il bisogno di tornare perché ho capito che l’unico modo per non avere più paura era quello di affrontare il problema. Importante nella mia scelta è stato l’incontro con Don Pino Demasi.
Ho deciso così di rinunciare all’insegnamento nella scuola, e impegnarmi nel settore dei beni confiscati e nell’agricoltura, un settore nuovo per me, sebbene figlio di contadini.
Ma ho ritenuto che il miglior modo per investire i miei studi fosse quello di restare e cambiare la mia terra, perché impegnarsi in Calabria significa depotenziare il fenomeno mafioso anche nelle altre regioni italiane dove la mafia è presente, come l’Emilia Romagna, il Veneto, la Liguria, Toscana. Tutti territori che ai tempi in cui decisi di andare via sembravano indenni dal fenomeno mafioso.
La cooperativa Valle del Marro è impegnata anche nel contrasto al caporalato, e nella promozione di un lavoro giusto, onesto, nel rispetto dei diritti.
Il nostro obiettivo è sempre stato quello di rendere i beni confiscati alle mafie occasioni di lavoro dignitoso, e creare allo stesso tempo forme di sviluppo legali. Sia noi che abbiamo fondato la cooperativa, che i migranti, che vivono nell’area tra San Ferdinando e Rosarno, siamo persone oppresse, perché il caporalato è una delle tante forme delle mafie.
Il caporalato distrugge la dignità della persona, le strumentalizza, rende il territorio povero di umanità e di diritti.
Per questo motivo negli anni abbiamo promosso diversi progetti per combattere il fenomeno del caporalato e lo sfruttamento dei migranti, tra cui ultimo il progetto di cui è partner anche la Fondazione Il Cuore si scioglie e Unicoop Firenze, che ci sostiene commercializzando nei propri supermercati le nostre clementine, alla cui raccolta partecipano anche dieci migranti che vivono tra Rosarno e San Ferdinando, e che grazie ad una borsa di inserimento lavorativo della nostra cooperativa, hanno scoperto la dignità del lavoro e la possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita, ed essere così persone libere.
Quanto è importante impegnarsi nella legalità anche nelle piccole scelte di ogni giorno?
L’essenziale si nasconde nei dettagli delle piccole scelte. Scegliere di coltivare i terreni confiscati alle mafie per opporsi alla mentalità mafiosa significa vivere questa lotta in tutti gli ambiti della propria vita: da quello lavorativo, a quello familiare, alla scelta delle amicizie, dei luoghi dove consumare, e dove acquistare. È un impegno oneroso che comporta ogni giorno delle scelte nella modalità di interagire con gli altri.
Quanto è stato importante il contributo di Unicoop Firenze della Fondazione Il Cuore si scioglie per la vostra Cooperativa?
La nostra cooperativa mette insieme risorse e competenze per il raggiungimento di un impegno etico e morale che poi però si deve confrontare anche con una realtà di impresa capace di generare dignità sul territorio, futuro e lavoro. Noi facciamo attività biologica sui terreni confiscati alle mafie e abbiamo bisogno poi di collocare la nostra produzione.
Il sostegno di Unicoop Firenze è fondamentale per la sostenibilità economica del nostro progetto, non solo perché i nostri prodotti sono poi venduti nei supermercati della cooperativa, ma perché contribuisce allo sviluppo e alla crescita sociale del nostro territorio.
La Fondazione Il Cuore si scioglie ha attivato numerosi progetti a sostegno della lotta al caporalato, ci ha sostenuto nella realizzazione del Centro polifunzionale, nei percorsi educativi con le scuole che ci consentono di coltivare le coscienze dei giovani.
Grazie ad Unicoop Firenze abbiamo avuto l’opportunità di saldare in un unico progetto la possibilità di collocare nel mercato i nostri prodotti buoni e giusti e avere strumenti di crescita sociale, di inserimento lavorativo ed educativo, che ci consentissero di cambiare la mentalità del territorio.
Com’è la situazione oggi per la Cooperativa Valle del Marro?
Abbiamo affrontato lo scorso anno un periodo molto duro di furti e sabotaggi. I danni agli impianti irrigui hanno compromesso anche la produttività, gli incendi dolosi hanno distrutto gli oliveti.
Ora stiamo vivendo un periodo di relatività tranquillità, ma siamo sempre attenti, ogni giorno controlliamo lo stato dei terreni e lottiamo perché si avvicinano i periodi più caldi e con essi il timore di subire nuovi sabotaggi agli impianti irrigui che possano compromettere il raccolto invernale. Abbiamo una fitta collaborazione con le forze dell’ordine per prevenire altre intimidazioni.
Il nostro lavoro dà fastidio perché crea percorsi di autodeterminazione. Le persone che vengono a cercare lavoro, possono assaporare il senso della libertà in un territorio in cui tutto prima era condizionato dalle mafie, dal lavoro al governo dei territori. La possibilità di poter scegliere di essere uomini liberi è forse l’elemento che più dà fastidio alle mafie.
Nei momenti di maggiore difficoltà, hai mai più pensato di lasciare?
Non ho mai avuto ripensamenti della mia scelta, anche se sono consapevole che la lotta sarà lunga, che i risultati non saranno immediati.
In questi oltre dieci anni di attività il territorio è notevolmente cambiato, ormai il bene confiscato è considerato una risorsa per lo sviluppo del territorio, sempre più giovani scelgono di restare e costruire qualcosa di positivo per la loro terra. Noi adulti dobbiamo accompagnare i giovani in questo percorso.
Quanto è stata importante l’apertura del centro giovanile a Polistena?
L’apertura di un centro giovanile all’interno di un palazzo confiscato alle mafie è stato un esempio concreto di riscatto del territorio che ha animato la speranza dei nostri giovani.
Ma le mafie sfidano ogni cambiamento sul territorio, e per questo è necessario investire molto nell’educazione delle coscienze, che è l’unica ancora di salvezza per i giovani.
Ogni anno molti giovani studenti toscani vengono a Polistena grazie ai percorsi educativi di Unicoop Firenze per visitare la vostra cooperativa. Qual è il messaggio che lasci loro?
Nei giovani toscani leggo sempre molta curiosità verso questa terra, leggo la voglia di costruire un futuro migliore. Il messaggio che lascio loro è quello
di essere “sentinelle della legalità”, di avere e mantenere un’etica forte nelle scelte di ogni giorno e della loro vita, avere la capacità di leggere le ferite invisibili del territorio, attraverso le quali le mafie possono entrare.