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Cinque domande sulla paranza

Tante versioni per la frittura di pesce povero e di piccola taglia

Cosa è?

Èun capolavoro della cucina povera di mare, preparata con piccoli pesci di fondale, quelli che un tempo non venivano destinati ai mercati più pregiati, ma che nelle cucine popolari, cucinati in frittura, si trasformavano in autentiche prelibatezze. I pesci, una volta puliti, privati delle interiora e delle teste, vengono semplicemente infarinati e fritti nell’olio extravergine d’oliva (o di semi di arachidi), con un condimento finale di sale e spicchi di limone. Tipica soprattutto del sud Italia, è ormai popolarissima in tutto il Paese, gustata come street food e cibo povero, ma dal gusto ricco.

Quante versioni della ricetta?

I pesci che formano la paranza – nel senso della frittura – variano in base alla zona e alla stagione. In Salento è formata da calamari, gamberetti, merluzzetti, triglie, sogliole e altri pesci di piccolo taglio, inferiori ai 7 cm, come spatole, gattucci, merlani, molve, piccole razze e pezzetti di code di rospo.

Nella ricetta napoletana fra gli ingredienti sogliolette, suaci, triglie, merluzzetti, alici e mazzoni, mentre nella frittura siciliana compaiono anche i saraghetti, i gamberi, i ghiozzi e i lucci di mare, con la prevalenza del pesce azzurro e l’uso, per la frittura, di olio extravergine d’oliva.

Quale variante in Toscana?

In Toscana non cambiano solo i pesci, ma anche la ricetta. Le materie prime sono in genere nasellini, trigliette di sabbia, acciughe, passerine, gallinelle e altri pesci di misura inferiore ai 15 cm. Ma, anziché solo fritti, possono essere cucinati anche al forno con un condimento di pangrattato, olio extravergine d’oliva, aglio, prezzemolo, peperoncino e un goccio di vino bianco. Sull’Adriatico, nelle Marche, si utilizzano acciughe, trigliette, zanchette, calamaretti, merluzzetti, scampi. Quale che sia la ricetta, la paranza va mangiata caldissima: «Frisciennu, manciannu», è il motto salentino!

Perché si chiama così?

Prende il nome da un’imbarcazione adatta ai bassi fondali, di stazza inferiore alle 25 tonnellate, in passato dotata di vela. Deriva dal dialettale paro, cioè “paio”, perché le imbarcazioni operavano in coppia per pescare a strascico. Questa tecnica, oggi vietata, permetteva di catturare più pesce grazie alla migliore apertura della rete e alla maggiore forza di trazione delle due imbarcazioni. Erano paranze alcune barche dei pescatori di Aci Trezza, raccontati da Verga nel romanzo I Malavoglia e, forse non a caso, si chiamava Don Paranza il protagonista della novella pirandelliana Lontano.

Quali altri significati?

Nel gergo romano un tempo indicava una compagnia di persone unite da amicizia, lavoro o interessi comuni. Nel gergo della malavita, si riferisce a un gruppetto di truffatori o di ladri che operano insieme, mentre in quello della camorra napoletana è la batteria di fuoco del clan che attua le azioni più violente.

A questa accezione rimanda il libro di Roberto Saviano La paranza dei bambini, in cui i protagonisti adolescenti sono “piccoli pesci” alle prime prove con la criminalità. Non è solo una ricetta ma è anche «una danza che si balla nella latitanza», come cantava con ironia Daniele Silvestri.

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