«Sono intorno a noi, in mezzo a noi e su di noi». No, non è il ritornello di una canzone di successo di fine anni Novanta (Quelli che benpensano di Frankie hi nrg, 1997): è quel «su di noi» che fa la differenza, ma si potrebbe aggiungere anche «dentro di noi». Il riferimento è al mondo brulicante, ma invisibile perché infinitamente piccolo, che compone il microbiota, l’insieme dei microbi che vivono sulle nostre mucose, sulla nostra pelle e nell’intestino. In una persona di 70 chilogrammi ci sono 30 trilioni di cellule umane e 38 trilioni di microrganismi, che evidentemente non possiamo ignorare, anche se infinitesimali quanto a dimensioni.
Di questo scrive Antonella Fioravanti nel suo Viaggio nel mondo dell’invisibile, pubblicato da Aboca. Scienziata pratese, attualmente presidente della Fondazione Parsec, nel 2020 le fu assegnato un prestigioso riconoscimento dall’Accademia reale belga per aver scoperto un nano-anticorpo capace di uccidere il batterio dell’antrace. Dopo cinque anni cosa ne è stato di quella scoperta? «Il percorso per arrivare ad avere un farmaco da usare nella cura è lungo, occorrono 15-20 anni prima di poter disporre di una terapia utilizzabile sugli uomini» spiega.
Nel frattempo la ricerca continua: «I microrganismi sono essenziali per la vita sul nostro pianeta. Noi li concepiamo principalmente come elementi negativi che portano le malattie, ma in realtà da loro dipendono moltissime attività che ci permettono di vivere: la panificazione e la vinificazione sono gli esempi più classici, ma ne potremmo ricordare moltissimi altri. Basti pensare che gli stessi mitocondri, che permettono la respirazione cellulare, sono il prodotto dell’evoluzione ultra-millenaria di un batterio e una cellula eucariota (cellula che forma piante, animali e uomini, ndr). E ancora, i batteri fertilizzano il terreno e proprio da microrganismi che vivono nel suolo deriva il 70% degli antibiotici che ci aiutano a combattere le malattie».
Guerre e riscaldamento: minacce globali
L’antibiotico-resistenza dei microbi è uno degli aspetti più critici della contemporaneità: «È l’epidemia di cui nessuno parla e che si aggrava nei contesti più difficili del mondo: a Gaza già nel 2018-19 si registrava un aumento del 300% della resistenza a specifici antibiotici, si può soltanto immaginare il valore odierno di questo dato» precisa la ricercatrice, che ha a cuore anche un altro grande problema: il legame fra microrganismi e cambiamento climatico. «Si è visto che l’aumento del caldo secco favorisce l’attività dei batteri respiratori, perché si riduce la produzione di muco che serve ad espellerli.
Ma crescono anche le malattie portate da vettori come zecche e zanzare, che espongono intere popolazioni a malaria, Dengue, West Nile. D’altro canto, le inondazioni dovute a fenomeni eccezionali stimolano lo sviluppo di microrganismi patogeni, sia gastrointestinali sia respiratori, portando a vere e proprie crisi sanitarie. Eventi di questo tipo sono sempre meno un’eccezione e dipendono dal riscaldamento globale. Per questo è importantissimo invertire la rotta dell’inquinamento e dell’emissione di anidride carbonica e cominciare a rispettare il nostro pianeta, considerando questi fenomeni come delle emergenze da contrastare».
Dai ghiacciai batteri di tre milioni di anni
È collegato al cambiamento climatico anche un altro fenomeno che rischia di avere conseguenze incalcolabili al momento: lo scioglimento dei ghiacciai e del permafrost. «Il ghiaccio ha congelato non solo acqua e terreno, ma anche i microrganismi che in essi vivevano. Nel momento in cui i ghiacci fondono tornano microrganismi antichissimi – ne sono stati rinvenuti alcuni risalenti a tre milioni di anni fa -, ma ancora potenzialmente patogeni, che potrebbero entrare in contatto con noi in tanti modi, ad esempio attraverso le acque di fiumi e mari che dai ghiacciai si alimentano.
I microbi sono in continua evoluzione e, essendo velocissimi nel sapersi riadattare a nuove condizioni di vita, riescono a sviluppare meccanismi per resistere e sopravvivere. Anche agli antibiotici. Studiarli è l’unico modo per non restare indietro e per salvare vite. Ma per questo serve una nuova alleanza fra cittadini, ricerca e politica. Perché il futuro si costruisce insieme».
