Olio e vino alla prova del cambiamento climatico 

Ogni grado di temperatura in più spinge le zone di coltura 160 chilometri verso nord

Terroso ed elegante. Gentile e profumato. Cosa resterà del carattere tradizionale e autentico di vino e olio d’oliva? Entrambe le produzioni hanno da sempre retto ai cambiamenti ciclici del clima, ma ora il riscaldamento globale potrebbe condizionare negativamente le coltivazioni tipiche del nostro territorio.

«Il caldo che dura troppo a lungo modifica, per esempio, il gusto dell’olio d’oliva e lo rende più grasso», spiega Jean-Marc Touzard, esperto di adattamento dell’agricoltura al cambiamento climatico presso l’Inrae (l’Istituto nazionale di ricerca agronomicafrancese). Se impazzisce il termometro, la percentuale di acido oleico dell’olio calerà inesorabilmente.

Con quali conseguenze? «L’aumento della percentuale degli acidi grassi polinsaturi, come, per esempio, l’acido linoleico, che l’Unione Europea  limita all’ 1% – puntualizza Touzard – e che attenua significativamente la capacità dell’olio di rallentare i processi ossidativi». Riguardo, invece, alle caratteristiche organolettiche, un elevato stress idrico favorisce la produzione di oli squilibrati con una minore intensità aromatica. 

Aspettativa di vite

Anche il vino sta mandando i primi segnali di cambiamento. Le date delle vendemmie sono più precoci. In Italia, negli ultimi 30 anni, si è verificato un anticipo anche di un mese in alcune zone, ma il raccolto sotto il sole cocente non è un punto a favore dei processi di vinificazione: i grappoli si ossidano più facilmente, perdendo così alcune delle loro qualità organolettiche. Ecco perché numerosi viticoltori scelgono ormai di vendemmiare di notte. 

Con estati più calde, sale anche la gradazione alcolica: è schizzata in su del 2% in 20 anni. «Il motivo è la maggiore concentrazione di zucchero nell’uva – spiega David Kaniewski, professore di bioclimatologia all’Università di Tolosa – che dipende principalmente dal livello di insolazione: 17g di zucchero al litro danno l’1% d’alcol».

Così da 30 anni il rapporto zuccheri-acidi, che struttura ed equilibra i vini, evolve sempre più a favore dello zucchero. Con quali ricadute sulla componente aromatica del vino? «Alcuni profumi spariranno, mentre quando  altri emergeranno», dicono i ricercatori dell’Università di Borgogna. Così va il clima, cambiando la tipicità dei vini fino ad alterare completamente, in alcuni casi, le loro caratteristiche specifiche.

Cambio di posto

Per Mauro Centritto, direttore dell’Istituto per la protezione sostenibile delle piante (Ipsp) presso il Cnr di Torino, «un mondo con 2-4 °C di media in più entro il 2100 è un’enormità tale da sconvolgere l’intera agricoltura, con conseguenze potenzialmente devastanti per l’intera civiltà. Da qui al 2050 le temperature di alcune regioni agricole del mondo diventeranno incompatibili con la coltura dell’olivo e della vigna».

Intanto, le aree geografiche idonee alla coltivazione hanno già cambiato aria: si sono spostate da 80 a 240 chilometri in direzione dei poli. I record di caldo registrati in Scandinavia hanno dato l’idea ad alcuni danesi, svedesi e norvegesi di darsi alla produzione di vino. La vigna di Lerkekåsa, nel cuore della contea di Telemark (fra Oslo e Bergen) in Norvegia, produce il vino più settentrionale del mondo.

Altri vigneti tendono, invece, a svettare: nella provincia di Aosta, per esempio, i comuni di Morgex e di La Salle producono, a quasi 1200 metri d’ altezza, i vini più alti d’Europa. In Italia oltre a quella del vino sale anche la quota dell’olivo. È, infatti, arrivata a ridosso delle Alpi, come si legge nello studio Coldiretti-Ixès sugli effetti del cambiamento climatico. 

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