Recentemente Facebook ha riproposto la storia di Toldo, un gatto che, alla morte del suo padrone Renzo nel 2011, ha fatto visita alla sua tomba ogni giorno, lasciando rametti, foglie e altri piccoli doni. Un comportamento che ha commosso i familiari e gli abitanti di Montagnana, il piccolo paese vicino a Pistoia, dove questo gattino si è reso, suo malgrado, protagonista.
Una veloce ricerca in rete riporta molte storie simili in giro per il mondo: cani e gatti che dimostrano la loro fedeltà anche dopo la morte dei compagni umani. Tra le più commoventi, e anche forse la più famosa grazie al film a lui dedicato, Hachiko – Il tuo migliore amico (2009) con Richard Gere, c’è quella di un cane di razza Akita che accompagnava ogni giorno al mattino il suo padrone, un professore dell’Università di Tokyo, alla stazione di Shibuya, e tornava a “riprenderlo” nel pomeriggio, al ritorno dal lavoro.
Nel 1925 il suo compagno umano muore improvvisamente senza fare ritorno. Per dieci anni, puntuale come un orologio, il cane lo aspetta ai binari. La sua perseveranza commosse passanti e lavoratori della stazione, che iniziarono a prendersi cura di lui. Muore l’8 marzo del 1935, dicono proprio nel luogo dove aspettava il professore e dove oggi c’è un monumento di bronzo che lo ritrae.
Anche a Bobby, uno Skye Terrier, è stata dedicata una statua, a Edimburgo in Scozia. Dopo la morte del suo padrone nel 1858, infatti, trascorse 14 anni accanto alla sua tomba, nel cimitero di Greyfriars Kirkyard.
Altra storia commovente è quella di Italo, di Scicli (RG), un meticcio color miele che si presentava puntuale a funerali, matrimoni e processioni. Accompagnava i turisti in visita alla città, sorvegliava i bambini all’uscita da scuola e abbaiava alle auto fuori posto. Nel 2009 fu microchippato e ufficialmente adottato “a nome dell’intera popolazione”, diventando cittadino onorario di Scicli.
Cosa provano davvero?
Sotto il post di Toldo, moltissime persone riportano episodi simili: colpisce la frequenza con cui si ripetono queste storie. Se un tempo, prima che la rete ci mettesse tutti in contatto, si potevano archiviare come favole o leggende, oggi meritano un’attenzione diversa. Quando gli aneddoti si moltiplicano prendono la forma di statistica e suggeriscono domande. Non semplici. È giusto riconoscere agli animali sentimenti che ad oggi pensavamo esclusivamente umani, come l’empatia, il lutto, la gelosia o la capacità di provare dolore emotivo profondo? Oppure è un eccesso di antropizzazione?
«Molte ricerche neuroscientifiche si stanno oggi concentrando sullo studio delle parti più “antiche” del nostro cervello, responsabili non tanto dei ragionamenti e dei comportamenti razionali, quanto delle emozioni più profonde – spiega Francesco Cerquetti, filosofo ed educatore cinofilo -. Queste aree del cervello sono sostanzialmente identiche nell’uomo e in molti altri animali, che possono quindi costruire legami profondi quanto i nostri».
Più cemento, meno natura
Queste storie sollevano anche importanti questioni morali ed etiche. «Oggi trovano diffusione sui social – prosegue il filosofo -, ma anche un tempo erano molto comuni: ogni paese, frazione o persino ogni famiglia poteva raccontare di un “Fido” conosciuto personalmente. Io, ad esempio, mi ricordo del cane Bracco, che ogni giorno andava a prendere mia nonna fuori dalla scuola dove lavorava, o di storie simili ascoltate da bambino negli anni ‘80».
Se un tempo uomini e animali condividevano gli stessi spazi, la società attuale tende a creare una distanza, sia spaziale che cognitiva. «Negli ultimi decenni abbiamo cementificato in modo sconsiderato, sottraendo spazio a ciò che un tempo apparteneva anche ad altre specie. Così facendo, abbiamo perso il contatto con gli animali e la possibilità di osservare le loro straordinarie capacità, semplicemente perché non possono più esprimerle» conclude Cerquetti.
