Ricette proibite

Continua il nostro viaggio alla scoperta delle tradizioni alimentari del passato, che oggi non ci sono più

Quando ci si doveva nutrire per vivere, in senso letterale, era ben difficile poter fare distinzioni su cosa introdurre nel proprio corpo: lo scopo fondamentale era placare i morsi della fame e questo non causava problemi di tipo etico.

Carne: sì o no?

La carne era un prodotto che si otteneva solo cacciando e, al di là del gusto, quasi tutti gli animali erano prede. L’evitare determinati alimenti a priori era più legato a motivi religiosi, e questo divieto veniva proclamato spesso legandolo a necessità ambientali o di tipo igienico-sanitario. Prendiamo ad esempio il maiale, che non viene consumato dai fedeli dell’ebraismo e dell’islam, due religioni nate nelle stesse aree geografiche.

Molto probabilmente il divieto nasce dal problema della conservazione delle carni macellate, di una durata minore rispetto ad altri animali, che causavano spesso varie malattie. A dire la verità, leggendo il passo del Levitico nel quale sono elencati gli animali dei quali un ebreo ortodosso non si può cibare, ce ne sono una serie che fa pensare come nell’antichità fosse davvero ampia la possibilità di scelta: gabbiano, gufo, cicogna, ma anche pipistrello, topo e lucertola, animali che solo a sentirli citare lasciano interdetti.

Per quanto riguarda l’induismo, invece, il divieto di mangiare le carni della mucca deriva dal fatto che viene considerata l’incarnazione di una divinità, oltre ad essere un animale estremamente utile all’uomo, fornendo il latte da cui derivano molti altri alimenti tipici della cucina indiana.

Diverso è il caso degli animali che non vengono mangiati per motivi etici, legati più a culture locali: è il caso di cani e gatti, considerati nel mondo occidentale animali domestici, ma che vengono invece consumati in alcuni Paesi orientali.

È lo stesso caso del coniglio, che troviamo nei ricettari di molte nazioni di area mediterranea, ma che non viene accettato dalla cultura anglosassone, così come la carne di cavallo. Qui non ci sono problemi di tipo sanitario, si tratta proprio di sensibilità diverse rispetto a determinati animali.

Quelle che non si mangiano più

C’è poi il caso delle carni consumate nel passato e che sono cadute in disuso, sia per motivi di gusto che per proteggere specie a rischio scomparsa. Fa un certo effetto pensare che nel Medioevo si potessero servire ai banchetti carni di cigno e di pavone, ma anche di lupo e di lince che, cacciati per procurarsi le pellicce, non venivano certo gettati e finivano all’interno di pietanze anche complesse da preparare.

Altri animali che popolavano numerosi i boschi nel passato, come istrici, scoiattoli e ghiri, venivano serviti a tavola sotto forma di umidi e stracotti; tale usanza, in certi luoghi, non è del tutto scomparsa, con i rischi che crea il consumo di carni non sottoposte a controllo sanitario.

Quelle oggi vietate al consumo

Parlando di volatili, gli uccellini come i pettirossi e gli ortolani sono oggi vietati al consumo per la protezione della fauna, ma ci si ricorda di ricette come polenta e osei che fino a pochi decenni fa facevano bella mostra di sé nelle carte dei ristoranti. La carne dell’orso è stata in auge fino all’inizio del Novecento, poi il suo consumo è molto diminuito ed oggi sopravvive solo in alcuni Paesi, dove viene anche lavorato per fare salumi.

Ricordi di un tempo passato; oggi le nuove frontiere dell’alimentazione riguardano il consumo di insetti di vario tipo e il loro impiego in semilavorati: chissà se prevarrà la curiosità dell’assaggio o il pregiudizio sul loro consumo.

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