«A quei tempi lavoravamo a mano, zappa e vanga, niente macchinari né trattori: sul campo eravamo in cinque, a mezzadria, in un appezzamento di quattro ettari in zona Ponte a Greve, alle porte di Firenze. Producevamo grano, ortaggi, uva. La sera raccoglievamo e la mattina, con l’asinello, andavamo a vendere al mercato di Sant’Ambrogio».
Quegli anni se li ricorda così Francesco, il patriarca dell’azienda agricola Cammelli che ancora oggi porta il suo cognome: «Poi negli anni ‘60 iniziammo a vendere al Consorzio cooperative di Consumo, la “madre” di Unicoop Firenze si chiamava così e, ai tempi, aveva ancora un solo numero di telefono! Poi quell’episodio del basilico: il suo prezzo era otto lire, ma una delle più importanti insegne cittadine ce ne dava solo quattro. Al mercato incontrammo un direttore di Coop che ce ne dette 12. Da quel momento le cose cambiarono e il rapporto con Unicoop Firenze è diventato fondamentale per la nostra azienda. All’epoca tutti scappavano dall’agricoltura, io invece ho voluto continuare e sono contento così, degli anni passati sui campi e dei miei figli, che hanno seguito la mia strada».
Tutto in un giorno
La nuova generazione della famiglia Cammelli ha portato avanti l’attività. E oggi l’azienda coltiva 600.000 metri quadrati di campi a Ugnano, fra Firenze e Scandicci, con un fatturato di circa 5 milioni di euro l’anno: 300.000 ravanelli seminati ogni settimana, 5 milioni di piantine di basilico, 600.000 porri e 1300 quintali di bietola all’anno, e poi cardi, rape rosse, cavolo nero, zucca gialla, insalate e così via. Numeri da capogiro, con una produzione che punta tutto sul fresco di giornata e sull’efficienza logistica, come spiega Daniele, pronipote di Francesco, che oggi lavora in azienda: «Noi raccogliamo la mattina e il giorno dopo i prodotti sono già disponibili sui banchi di Unicoop Firenze. Il nostro principio di base è dal campo alla tavola in nemmeno ventiquattro ore, per garantire un prodotto freschissimo e saporito, perché appena staccato dalla pianta».
Fra terra e acqua
Fresco, tutto toscano e con lo sguardo al futuro, come spiega Alessio, l’altro pronipote di Francesco: «In questi sessanta anni di attività, famiglia e azienda sono cresciute insieme: abbiamo sviluppato tutta la nostra filiera puntando sul territorio e su innovazioni come la coltivazione idroponica, detta anche idrocoltura. Agricoltura di qualità ma in modo più sostenibile, con un minore spreco di acqua, che può essere riutilizzata in molti cicli produttivi e per irrigare. La chiave per la riuscita è bilanciare nell’acqua i sali minerali e l’ossigeno che via via vengono assorbiti, per massimizzare produzione, velocità di crescita e qualità».
Fra le ultime novità anche due raccoglitrici automatiche che migliorano tempi e modi di lavoro e permettono la raccolta meccanizzata di insalatine baby, altrimenti impossibile: «La tecnologia a volte migliora la vita e anche la produzione! Queste macchine ci hanno permesso di sviluppare un assortimento di insalate fresche: spinacino, rucola, misticanza rossa, bionda, con cimette di cavolo nero e tutto il gusto dell’orto di un tempo. Riportare a tavola i sapori veri, che quelli, come dice il mio bisnonno, non passano mai di moda».
Coltivazione idroponica. Un po’ di storia
La coltivazione idroponica è stata riscoperta nel 1930 dall’Università di Berkeley in California, anche se applicata di fatto solo di recente. La tecnica era già usata dagli antichi babilonesi nei loro giardini pensili ed è diffusa nei villaggi di montagna intorno al lago Titicaca in Perù e nel Myanmar (ex Birmania), dove le piante vengono coltivate sopra paglia o strati di giacinto imbevuti di acqua.