Un orto che fa riscoprire le natura e tessere relazioni tra persone
Quando i nuovi alunni della scuola primaria La Pira e della scuola Boccaccio di Firenze varcano la soglia dei loro istituti per la prima volta, si trovano davanti degli anfitrioni inaspettati: i loro compagni del quinto anno.
Queste piccole guide gli staranno accanto per tutto l’anno. E il primo giorno li accompagnano in visita in tutta la scuola. Spiegano, da bambino a bambino, i punti più importanti, alcune delle attività future e li portano a vedere il principale punto d’interesse che si trova nel cortile: un grande spazio dedicato ad un orto, curato direttamente dagli studenti.
Ma l’aspetto più innovativo quest’anno è il coinvolgimento attivo di 5 ragazzi con disabilità che parteciperanno alle attività in qualità di tutor. Un modo per dare la possibilità a questi ragazzi di aiutare e non soltanto di essere aiutati, superando le differenze e i pregiudizi.
Guardiamo crescere le fragole
L’orto siamo noi è un progetto per rinnovare e ampliare gli orti nella scuole primarie e dell’infanzia La Pira e Boccaccio, che fanno capo all’Istituto Comprensivo le Cure. A consigliare e aiutare c’è l’associazione Luar, che si occupa di agricoltura sociale e naturale.
“L’idea di fare un orto è nata circa 15 anni fa” spiega Anna Bianchi, una delle maestre storiche della primaria La Pira “Grazie all’aiuto dei tecnici del comune di Firenze e delle colleghe dell’educazione ambientale, presentammo un progetto alla Regione che aveva al centro la produzione dell’orto. Venne stanziato un piccolo fondo che ci servì per acquistare i materiali base: zappe, vanghe, guantini, terriccio, semenze e altre cose.”
Nella fase iniziale le maestre chiesero ai nonni e ai genitori di aiutare a preparare il terreno. Tutti vennero a vangare e zappare con entusiasmo per rendere tutto disponibile ai piccoli contadini.
“Dividemmo in 10 aiuole, una per classe” continua Anna “aggiungendo poi delle zone dedicate ad erbe aromatiche, ad un ciliegio e ad una vite.”
Mentre alla scuola dell’infanzia La Pira non rimasero fermi.
“Qui avevamo i pini ed era difficile seminare” spiega Maria Rosa, una della maestre dell’infanzia “quindi avevamo delle piante aromatiche tenute nei vasi e abbiamo continuato così per qualche anno, con i bambini che le curavano.”
Ma poi è cambiato qualcosa:“È arrivato un bambino speciale nel mio gruppo. Un bambino affetto da autismo” racconta Maria Rosa. Lui aveva bisogno di vedere che le fragole crescevano su una pianta, che c’era bisogno di innaffiarle “doveva vedere per imparare” specifica la maestra.
Un incontro inaspettato
Circa cinque anni fa, nel terreno accanto alla scuola, c’era qualcuno che avrebbe dato una svolta fondamentale alla vita di questi orti e di tantissimi studenti. C’era Nicola Zannini, psicologo e vice presidente dell’associazione Luar.
“Nicola stava oltre la recinzione del nostro cortile, in un campo dove lavorava con i ragazzi del carcere minorile” ricorda Maria Rosa con un sorriso “ha visto quello che facevamo ed è venuto a parlare con me per iniziare una collaborazione con l’associazione Luar.”
Hanno iniziato realizzando dei cassoni pieni di terra, dove i bambini potevano lavorare stando in piedi. E finalmente con quella disposizione anche i bambini disabili potevano contribuire all’orto senza problemi.
“Ci sentivamo sicure della gestione agronomica” spiega Anna “quando è arrivato Nicola avevamo già 10 anni d’esperienza di orto autogestito. Ma la sua proposta era molto più ampia: la coltivazione biodinamica, approcci più vari con i bambini che coinvolgevano tanti più aspetti della loro personalità. Utilizzando il ritmo, le canzoni e le relazioni.”
L’uomo come parte integrante della natura
“Vengo da un’esperienza biodinamica” racconta Nicola “insieme alle maestre e ai bambini abbiamo deciso cosa fare, utilizzando una visione steineriana e olistica del bambino e dell’essere umano”.
L’agricoltura biodinamica nasce con Rudolf Steiner, che sosteneva il rispetto per la natura come fondamento basico. L’uomo è al centro della natura ma la rispetta e ne è parte integrante. Non è usurpatore o saccheggiatore, ma se ne prende cura.
“La biodinamica che faccio nella scuola è lavorare con i cicli stagionali” spiega Nicola “per ritornare alle origini contadine della nostra civiltà. Attraversiamo l’anno con l’orto: l’inverno si sta dentro noi stessi, come la natura che pensa a cosa succederà in primavera. Come nei miti greci Persefone ritornava dall’Ade.” Durante l’inverno non c’è una morte, ma un periodo di riposo e di lavoro interiore.
“Come esseri umani stiamo creando dei ritmi tutti nostri che potrebbero non essere corretti – continua Nicola – questo per me è il biodinamico: pensare i ritmi della nostra vita come dei valori. Intorno a questo ritmo circolare nascono i valori: si canta insieme, si sta insieme. Attenzione: questo non vuol dire che si deve tornare indietro nel tempo, ma bisogna andare avanti con la coscienza di cosa eravamo prima.”
L’approccio di Nicola è molto pratico e lo racconta con semplicità: “L’agricoltura che facciamo a scuola è sociale e naturale. Sociale perché è un atto sociale: il campo si lavora socialmente tutti insieme. Mentre è naturale perché è senza veleni. Dobbiamo considerare quello su cui camminiamo un essere e cercare di contaminarlo il meno possibile.”
Tutto l’anno nell’orto
Il lavoro dell’orto dura tutto l’anno: prima c’è la preparazione del terreno, dove i più grandi usano la forca per dissodare le zolle. Poi i più piccoli passano con le zappe e usano il cumulo dell’anno precedente per concimare.
A questo punto fanno la semina della piantagione, che darà i suoi frutti nel periodo invernale. Mettono baccelli da mangiare a primavera, tipici della Toscana. Inoltre questi legumi arricchiscono la terra d’azoto e la rendono più fertile, preparandola alle coltivazioni primaverili.
“C’è sempre un pensare a mantenere e rispettare la terra” spiega la maestra.
Ma oltre a questi ci sono pomodori, cetrioli, insalate, cocomeri, meloni e tanto altro.
“Molte delle piantine le facciamo noi” continua Anna “qui abbiamo già una serra: partiamo dal seme e le trapiantiamo. Poi alla fine di dell’anno scolastico facciamo una festa. I bambini fanno un piccolo banco gestito completamente da loro: dai cartelloni al banco stesso.” Durante quella giornata tutti i bambini danno un omaggio ai partecipanti della festa: una pianta da portare a casa.
Ma è il processo di tutto l’anno che è fondamentale.
“La fase davvero scatenante di queste nuove coscienze e del lavoro che facciamo inizia dalla prima semina” spiega Nicola “accogliere il seme nelle proprie mani, sentirlo come un essere vivente e alla fine trapiantarlo.Abbiamo tutto il processo di coscienza: il rispetto del terreno e del seme, quindi della vita.”
“Qui non c’è spazio per l’indifferenza: se ti mangi tuti i baccelli, non li mangi l’anno prossimo. La relazione dell’uomo con la terra è la relazione dell’uomo con gli altri uomini.”
Ci sono anche molti momenti pratici e divertenti.
“Per fare l’humus dobbiamo fare i cumuli, e per fare i cumuli serve la fresca. Cioè il letame appena fatto. Così ho insegnato ai bambini come fare il cumulo, alternando strati di letame e paglia. Si sono divertiti tantissimo.”
Il bullismo di batte con le relazioni
Mal’orto in realtà è una scusa per insegnare tante altre cose.
“Il progetto dell’orto rientra nella parte ‘complessità e sostenibilità’ del programma scolastico” spiega Maria Rosa “cioè riguarda la cura della persona e degli ambienti.”
Infatti tutta l’idea dell’orto si intreccia con il tutoraggio interno alla scuola.
I bambini della quinta guidano quelli di prima, arrivati dentro la scuola per il primo anno. Durante tutto l’anno fanno attività specifiche insieme, stanno insieme ne le ricreazioni e propongono giochi ai più piccoli.
“Creare delle relazioni sane è fare prevenzione del bullismo” spiega Maria Rosa “in questo modo noi evitiamo la prevaricazione dei più forti suoi più deboli.”
E l’orto sta al centro di questo universo di relazioni: i bambini più grandi spiegano alle matricole tutto quello che bisogna fare in quello spazio così particolare. E glielo fanno vedere: dalla preparazione del seme a come fare i solchi. Anche perché l’orto non è suddiviso in classi. Tutti si prendono cura dell’orto.
“Si cerca di battere l’indifferenza in questo modo” spiega Barbara, anche lei maestra “se vedo una cosa che non va, la risolvo. Non rimango a guardare.”
“La cura dell’orto è di tutti perché dobbiamo ampliare le coscienze” conclude Nicola.
Tutti lavorano: genitori e alunni
Quello che più stupisce è il genuino entusiasmo dei bambini l’orto, quasi come fosse un giocattolo uscito dai loro sogni.
“Tutti i bambini sono sempre entusiasti di questa attività” racconta Anna “tanto che durante le ricreazioni, invece di andare a giocare, tornano a curare l’orto, che è sempre accessibile nel giardino.”
Infatti i bambini riescono anche ad autoregolarsi : quando i più piccoli si dimenticavano di annaffiare, i più grandi lo fanno al posto loro oppure montano da soli la serra quando c’è bisogno.
“Non è una cosa che gli pesa ma che anzi li coinvolge profondamente” spiega Anna “tanto che a forza di parlarne a casa hanno convinto anche i genitori, che ci hanno sempre sostenuto. Anzi molti hanno iniziato a coltivare le loro piantine a casa, per poi trapiantarle qui una volta che si sono fatte troppo grandi.”
L’orto il grande telaio delle relazioni
Questo orto sempre in crescita ha permesso anche di attrarre l’intera comunità del quartiere: creando connessioni e relazioni.
“Abbiamo coinvolto in questo progetto anche la scuola primaria e dell’infanzia Boccaccio” spiega Maria Rosa “facevano già un orto e un giardino sensoriale, ma sono stati conquistati dalle attività di Nicola.”
“L’orto ci ha anche dato occasione di entrare in contatto con l’istituto alberghiero Buontalenti” racconta Barbara “con il loro aiuto abbiamo fatto una cena di finanziamento per il progetto dentro la loro scuola, coinvolgendo professori e studenti. E tutte le materie prime della cena sono state fornite gratuitamente da Unicoop Firenze.”
L’orto sta diventando una piazza immateriale, ma ben viva nelle menti dei cittadini di questa parte di città.
“I benefici di questo lavoro si vedono sui nostri alunni” continua Barbara “adesso conoscono bene il rispetto in tutti i sensi: attenzione verso gli altri e verso l’ambiente. E questo è grazie all’orto.”
I bambini sono stati i veri protagonisti dell’orto: hanno capito che potevano dare il loro contributo e gestirlo in maniera autonoma e così hanno fatto. Con un discreto successo anche.
“Questo è il primo orto dove crescono coscienze” spiega sorridendo Nicola. Ma l’orto in realtà è un pretesto, un semplice mezzo per arrivare ad un obbiettivo nobilissimo: sentirsi partecipi e non padroni, non solo della natura ma anche delle relazioni con le altre persone.
Grazie al successo di questa campagna adesso potranno essere acquistati tantissimi nuovi materiali: serre, zappe, zappette, secchi per gli adulti e secchielli per i bambini, annaffiatoi, tubi e altro. A tutto questo si aggiungeranno alcune piantine e tantissimi semi, con cui si fa la semina ma anche i laboratori.
“Quest’anno vorrei chiedere al Quartiere l’uso del giardino con l’ulivo davanti alla scuola, per poter potare e raccogliere le olive con i bambini e gli operatori” racconta Nicola.
E qui c’è la grande novità come dicevamo all’inizio: gli operatori e i loro assistenti. Ci saranno nuovi maestri dell’orto, ovvero gli operatori specializzati, che saranno accompagnati da ragazzi con disabilità. Entrambi verranno assegnati ad una classe e lavoreranno tutti insieme. È una cosa che è già stata provata nel 2017. “Si instaura un rapporto bellissimo: i tutor aiutano i bambini e i bambini aiutano i tutor” racconta felice Nicola e specifica che sono ragazzi che hanno già esperienza con l’agricoltura.
“Sono ragazzi speciali” continua “che fanno un lavoro speciale. Loro vogliono solo una possibilità per ridare quello che ricevano da tutti.”
Questi ragazzi saranno cinque e riceveranno tutti dei gettoni di presenza per il loro lavoro con i bambini.
Ricompense da vero orto
Le ricompense per questo crowdfunding sono state molto particolari: prime su tutte le palline di Fukuoka per il guerrilla gardening.
Fukuoka era agronomo giapponese che teorizzava la rivoluzione del filo di paglia e la spontaneità della natura. Tutto questo pensiero si traduce nelle sue palline di argilla con dei semi dentro per far crescere la pianta senza essere attaccata. Queste palline si usano quando si vedono campi incolti o abbandonati: si lanciano e si aspetta lo scorrere della natura.
Poi c’erano dei sacchetti con l’humus fatto dai bambini, dei sacchetti di semi dell’orto, dei calendari e le piantine dell’orto stesso.
Questo orto non è un’orto, ma qualcosa di più
Questo progetto ha saputo creare intorno a sé una rete di collaborazioni, che è stata ulteriormente infittita dalla campagna di crowdfunding.
“La Sezione Soci Coop di Firenze Nord-Est ci ha aiutato fin da subito e dato tutta la collaborazione dei soci” racconta Barbara “noi siamo rimasta stupite: nella scuola ci sono sempre difficoltà a fare tutto. Mentre la sezione soci, da quando ci ha detto sì, ci ha dato tutto quello di cui avevamo bisogno.”
“Questa è una cosa viva” spiega Nicola entusiasta “e noi tutti stiamo imparando e vogliamo arrivare il più possibile alla comunità.”
Anche perché tutte queste sono relazioni che contribuiscono a educare: i bambini ma anche gli adulti.
Ha collaborato all’articolo Francesco Ricceri
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