Fiorino d’oro per Lei quest’anno. Il sindaco di Firenze ha dichiarato che dai Fiorini 2019 emerge “lo spaccato di una città che sa tenere insieme la tradizione e l’innovazione, la solidarietà e l’attenzione verso la scienza”. Si riconosce in questa Firenze?
Direi di sì. In realtà sono rientrata a Firenze da due anni, dopo un lungo periodo di ricerca all’estero, quindi posso parlare della Firenze che ho ritrovato. Sicuramente l’iniziativa del sindaco Nardella di dare il Fiorino d’oro ad una ricercatrice che si occupa di ricerca non applicata e di studi legati alle prime stelle e galassie, ovvero a capire come era l’Universo oltre 13 miliardi di anni fa, testimonia una attenzione importante alla scienza fontamentale. La stessa attenzione che ho ritrovato nell’Ateneo fiorentino che incentiva la scienza fondamentale offrendo anche risorse per i giovani ricercatori, quasi un’eccezione nel panorama accademico italiano che non brilla per finanziamenti, tantomeno per i più giovani.
Il fatto che Firenze premi un’astrofisica significa che viene dato il giusto rilievo anche a chi si occupa di studi che non hanno una ricaduta pratica ed immediata sulla società, ma il solo scopo di far progredire la conoscenza.
Mi piacerebbe che, come in passato Firenze era la città dei mecenati, oggi ci fossero anche privati disposti ad investire nella ricerca. Ma anche il Comune potrebbe fare qualcosa di concreto: parlo ad esempio della necessità di rendere più facilmente accessibile il polo scientifico di Sesto Fiorentino, adesso scarsamente collegato con la città.
Nel 2018 Lei si è aggiudicata uno starting grant dell’European Research Council (ERC) per il progetto NEFERTITI (NEar-FiEld cosmology: ReTracing Invisible TImes). Di cosa si occupa lo studio e come procedono i lavori?
Lo studio per cui ho ottenuto i finanziamenti dell’Unione Europea, per un importo di circa 1,2 milioni di euro, riguarda la formazione delle prime stelle e galassie. In particolare la mia ricerca si concentra sullo studio degli elementi chimici formati dalle prime stelle, composte quasi esclusivamente di idrogeno ed elio. Vogliamo identificare i “discendenti” delle prime stelle nascosti nella nostra Galassia.
Possiamo trovare questi rari fossili analizzando gli elementi chimici delle stelle più antiche, ma per sapere dove e cosa cercare sono fondamentali i nostri studi teorici. Per scovare questi fossili, e capire le proprietà delle prime stelle, lavoriamo in collaborazione con altri gruppi di ricerca che svolgono campagne osservative, ed abbiamo già raggiunto importanti risultati. A breve inoltre il mio gruppo di ricerca si arricchirà di una ricercatrice islandese con cui lavoreremo al progetto per i prossimi cinque anni.
Recentemente sono usciti i dati sul livello di preparazione degli studenti italiani, che, anche per quanto riguarda le materie scientifiche, hanno evidenziato diverse problematiche. Che suggerimenti potrebbe dare a questo proposito?
Credo che sia soprattutto una questione di approccio. A mio avviso la matematica è solo un altro linguaggio, non è detto che sia più difficile. La difficoltà spesso deriva da un approccio tradizionale, astratto, mentre credo che sarebbe opportuno partire dall’esperienza, dal livello sperimentale: la fisica. Io ad esempio mi sono avvicinata alla scienza frequentando una scuola elementare sperimentale: avevamo un bosco in adozione e facevamo osservazioni mensili. Perfino temi complessi, come le leggi della termodinamica, potrebbero essere presentati ai più piccoli partendo dall’esperienza dei corpi caldi e dei corpi freddi. Anche la gravità è qualcosa che sperimentiamo tutti fin da subito: è così evidente che le cose cadono.
Altro strumento per avvicinare i giovani alla scienza è la divulgazione. Penso ad esempio all’iniziativa della Notte dei ricercatori che il prossimo settembre vedrà i ricercatori dell’ateneo andare nei luoghi di fiorentini per una serata di racconti sulle loro ricerche.
Tema cervelli in fuga: perché è difficile restare in Italia? Lei ha fatto esperienze all’estero, ma poi è tornata a Firenze. Forse la ricetta giusta sta nel compromesso fra fuga e ritorno dei cervelli?
Il problema non è soltanto il rientro dei cervelli ma l’attrazione dei cervelli: è difficile entrare in Italia, sia per italiani che per stranieri. La borsa Levi Montalcini con la quale sono tornata è una misura per il rientro dei cervelli. Credo che le esperienze internazionali siano fondamentali per la formazione: significa conoscere altre realtà, diventare indipendenti e stabilire collaborazioni indispensabili per chi fa ricerca. Come ho già detto però in Italia è difficile (ri)entrare perchè non c’è una programmazione stabile di finanziamenti alla ricerca.
Ci sono periodi senza nessuna opportunità e poi, magari tutti insieme, bandi per molti posti. In Francia, ad esempio, è diverso: c’è una programmazione con un numero stabile di bandi ogni anno. Questo facilita anche l’ingresso di “cervelli” dall’estero e la formazione di comunità di ricerca internazionali, che in Italia scarseggiano. Purtroppo come “meta scientifica” non siamo particolarmente appetibili, nonostante l’alto livello della ricerca in Italia.
Scienza e donne. Lo stato dell’arte della presenza femminile nelle facoltà scientifiche e quali accorgimenti potrebbero essere utili per incrementarla?
Un dato positivo: aumenta la presenza delle studentesse anche nelle facoltà scientifiche, anche se ancora oggi ai livelli apicali troviamo quasi esclusivamente professori maschi. Mi auguro che sia una tendenza che possiamo invertire. La questione che ritorna è quella dei servizi, degli asili nido che a metà pomeriggio chiudono e o hai un compagno disponibile o i nonni o ti devi trovare una babysitter, se i tuoi orari non coincidono. E gli orari di chi fa ricerca raramente coincidono.
In Europa questo non accade: ci sono i servizi per la famiglia e le mamme non sono giudicate se lasciano i figli fino alle sette di sera in strutture educative: è la normalità.
Infine, Lei si occupa di stelle. Si avvicina la Notte di San Lorenzo. Qualche consiglio per vederle “cadere”?
Innanzitutto le stelle non cadono. Le stelle cadenti, osservate spesso come sciame meteorico, si osservano quando l’orbita della terra interseca quella di una cometa lungo la quale sono stati rilasciati grandi quantità di granelli di polvere. Quelle che vediamo sono queste piccole particelle solide che, entrando nell’atmosfera terrestre, bruciano a causa dell’attrito.
Per osservare meglio questo fenomeno è indispensabile allontanarsi dalle città e dalle fonti di inquinamento luminoso, soprattutto quelle che ci portiamo sempre in tasca.
Parola d’ordine quindi: spegnere i cellulari. Siccome però quest’anno il 10 agosto ci sarà la luna quasi piena, che renderà più difficile vedere le cosiddette stelle cadenti, un invito: non aspettate San Lorenzo per fermarvi, naso all’insù, a guardare il cielo.
L’universo è ugualmente affascinante nelle altre notti dell’anno e cosa c’è di più bello, nel buio assoluto, di scrutare quella scia lattiginosa di milioni di stelle che attraversa il cielo e che è la nostra galassia, la Via Lattea?
Info sull’iniziativa Notti d’estate ad Arcetri
L’Osservatorio organizza molte altre iniziative, info aggiornate e dettagli su www.arcetri.inaf.it/