Buono per la salute e buono per l’ambiente. Il cibo del futuro dovrà essere pensato e prodotto tendendo a questo obiettivo. Di tutto ciò e di come vivere in salute si parlerà l’8 maggio a Firenze, al Palazzo dei Congressi, in una conferenza organizzata per le celebrazioni dei 50 anni di Unicoop Firenze. Poiché i posti sono limitati, sull’Informatore ne anticipiamo i temi con interviste ad alcuni protagonisti della giornata.
Fra questi Giuseppe Remuzzi (nella foto sopra), direttore dell’Istituto Mario Negri e fondatore dell’Italian Institute for Planetary Health (Istituto Italiano per la Salute del Pianeta). «Scelte alimentari sconsiderate contribuiscono al 25% dell’inquinamento dell’atmosfera, e se lo spreco alimentare (ogni giorno si buttano 88 milioni di tonnellate di cibo lungo tutta la catena agroalimentare) fosse un Paese, esso sarebbe il terzo più grande produttore di CO₂ dopo Usa e Cina – spiega Remuzzi -. Negli anni recenti purtroppo si è passati a diete tutt’altro che salutari, ricche di calorie e di prodotti fortemente lavorati e di sorgente animale. Hanno portato a obesità, diabete, malattie renali croniche e hanno anche contribuito al degrado dell’ambiente. Cattive scelte alimentari uccidono più persone che droga, tabacco, alcool e comportamenti sessuali a rischio messi insieme. Anche il 30-40% dei tumori si potrebbe prevenire grazie a dieta e stili di vita adeguati».
Cosa dovremmo mangiare di più?
Come sappiamo tutti, specialmente frutta e verdura: milioni di morti per problemi cardiovascolari in tutto il mondo devono essere attribuite, secondo un lavoro recente pubblicato su “Science”, al fatto che le persone non ne mangiano abbastanza. E poi cereali, pesce, poco sale, noci, legumi, olio extra vergine d’oliva, avena, spezie, curcuma, curry, zafferano.
In particolare, uno studio apparso sul “Washington Post” suggerisce che l’ideale per una buona alimentazione sarebbe mangiare lenticchie addirittura ogni giorno: hanno più proteine di una bistecca, più ferro della carne e vitamine e minerali – zinco, magnesio e potassio, oltre a vitamina D e la maggior parte degli aminoacidi – che la carne non ha. Studi archeologici hanno scoperto che gli uomini raccoglievano lenticchie 13mila anni fa, sono digeribili come la carne, saziano per ore, non hanno acidi grassi saturi e additivi che aumentano il rischio di cancro e di malattie del cuore.
Quali altri alimenti tradizionali nel mondo dovremmo riscoprire?
Con l’Italian Institute for Planetary Health andiamo alla ricerca di cibi tradizionali perché la dieta mediterranea non può essere per tutti; vanno valorizzate invece le abitudini e la cultura dei diversi Paesi del mondo. Tra gli esempi di diete particolarmente interessanti da riscoprire c’è quella degli indigeni del Messico pre-colombiano, basata sul consumo di mais, molte erbe, peperoncino, fagioli, zucca, arachidi, papaia, ananas.
Oppure si potrebbe decidere di mangiare come in quelle parti dell’India che vedono sulle tavole riso bollito, pesce, pane, verdure e frutta secca. Certe popolazioni dell’Africa, fra le più interessanti per la loro alimentazione sana – quelle che abitano il Corno d’Africa, per esempio -, consumano grandi quantità di noci, grano, orzo, miglio e teff (antico cereale privo di glutine), oltre a crema di mele e pistacchi. Sono tutte diete che non inquinano.
Fra i cibi più interessanti ci sono anche quinoa e açaí; perché?
L’ açaí è una pianta della famiglia delle palmacee che cresce solo in Amazzonia. Il frutto ha la più alta concentrazione di antiossidanti al mondo, proprietà anti-cancro e aiuta a proteggere il cuore, il cervello, a mantenere una pelle sana e a migliorare la digestione.
I semi di quinoa sono stati consumati nell’America centrale e meridionale per oltre 5000 anni ed erano una componente essenziale della dieta di civiltà antiche, come gli Aztechi, i Maya e gli Inca. Definita anche “grano madre”, la quinoa è ricca di proteine che forniscono aminoacidi essenziali, da cui si generano molecole bioattive con proprietà antiipertensive, antidiabetiche, antiossidanti e antitumorali.
In ottica di sostenibilità, grazie al suo apporto di proteine, può rappresentare una valida alternativa alla carne. Inoltre le colture di quinoa possiedono caratteristiche fisiologiche che le rendono resistenti alla siccità e alle alte temperature, più adattabili e resilienti ai cambiamenti climatici.
Una sana alimentazione aiuta a resistere agli agenti patogeni? Che lezione ci lascia il Covid?
Certamente l’alimentazione contribuisce alla salute. Basti pensare alle persone che morivano di Covid: più spesso erano anziani, diabetici, affetti da malattie croniche renali, respiratorie, cardiovascolari e in generale malattie metaboliche. Tutte queste patologie dipendono da una cattiva alimentazione e possono essere prevenute mettendo in atto corrette abitudini alimentari. Da questo punto di vista l’eredità del Covid è lampante.
Questione insetti nel piatto: come affrontarla?
Con l’obiettivo di nutrire un pianeta che va verso una popolazione di 10 miliardi di persone, rivolgersi agli insetti come cibo per l’uomo è una strada da perseguire. Rispetto alle proteine delle piante, quelle degli insetti hanno una concentrazione più alta e una migliore composizione di aminoacidi, persino superiori a quelli degli altri animali. Per una diffusione globale della pratica di usare gli insetti per nutrirsi siamo però ancora in una fase molto iniziale. Si dovranno fare più studi sulla digeribilità, sulla qualità e sulla sicurezza dei prodotti.
Bisogna tener conto che uno degli ostacoli maggiori per i cibi che contengono insetti è la difficoltà dei consumatori di accettare questa pratica; molti sono disgustati all’idea di mangiare insetti anche se fossero serviti in ambienti estremamente sofisticati. Si dovrà affrontare poi il problema delle allergie e di eventuali contaminanti. Insomma, gli insetti hanno un grande potenziale, ma ci sono barriere culturali da superare.
E della cosiddetta carne sintetica cosa pensa?
La gran parte delle proteine animali che si consumano nei Paesi sviluppati derivano da allevamenti intensivi di suini, bovini, ovini, pollame e pesci. Circa il 70% degli antibiotici a livello mondiale serve negli allevamenti per scongiurare la contaminazione batterica a causa delle condizioni estreme in cui sono costretti a vivere gli animali.
In questa situazione la carne coltivata, chiamata erroneamente sintetica, che deriva da colture di cellule staminali, potenzialmente è un’alternativa che presenta alcuni vantaggi, come ridurre la sofferenza degli animali e diminuire il rischio di diffusione di batteri resistenti agli antibiotici che finiscono inevitabilmente nella carne che consumiamo e nell’ambiente circostante. Come per gli insetti, sarà necessaria una strategia di comunicazione e formulazione alimentare in grado di abbattere i pregiudizi da parte dei consumatori.