Di qualsiasi forma esse siano, a partire dalla discriminazione sul luogo di lavoro, fino a giungere agli atti di aggressione fisica, le violenze nei confronti delle donne sono delle vere e proprie violazioni dei diritti umani. Come tali devono essere punite e quei diritti difesi. Anche davanti alla legge.
In Europa e nel mondo occidentale questo appare più facile, ma in alcuni Paesi nel mondo è la legge stessa ad autorizzare le violenze: facile pensare agli Stati islamici dove si segue la Sharia, come l’Afghanistan dove è proprio il nuovo governo talebano a imporre per legge quelle discriminazioni, dal divieto di lavorare all’impossibilità di studiare, che impediscono alle donne di realizzarsi come individui, ed è la stessa legge ad autorizzare la violenza da parte degli uomini nei loro confronti.
L’Europa che con gli Stati Uniti dopo venti anni ha abbandonato l’Afghanistan ai talebani non può voltarsi dall’altra parte e deve prendere provvedimenti per andare in soccorso di queste persone che vogliono continuare a studiare, lavorare, vestirsi liberamente, insomma a esercitare i propri diritti.
Ma quando si parla di diritti negati, è giusto pensare anche a quelle donne che dalla Libia fuggono con i bambini rischiando la vita, in cerca di un futuro che possa permettere a loro stesse ma soprattutto ai loro figli e figlie di vivere in un luogo dove vengano rispettati i loro diritti come esseri umani. Allo stesso modo sono una violazione dei diritti quelle pratiche tradizionali imposte al corpo femminile, tipiche di alcune culture africane, come le mutilazioni genitali, che le donne immigrate sono costrette a subire per imposizione dei familiari anche una volta giunte in Europa.
Un’Europa che sui diritti delle donne viaggia a due, ma anche tre velocità. Se in Scandinavia, sulla parità nelle condizioni di vita e di lavoro fra uomo e donna, si è intervenuti con strumenti che facilitano ad esempio la suddivisione dei carichi familiari, in quei Paesi dove il patriarcato è culturalmente ancora presente e forte, le donne vivono in condizione di subalternità e sono a rischio di maltrattamenti e uccisioni. Nonostante le numerose campagne di questi ultimi anni, i numeri non calano e ciò significa che c’è molto da lavorare. Innanzitutto sulla prevenzione, ma anche con l’applicazione rigorosa della giustizia e lavorando su coloro che si rendono responsabili delle violenze, persone che è importante rieducare perché non le ripetano. Infine uno sguardo a quei Paesi facenti parte dell’Unione Europea come la Polonia, dove è stata di fatto negata la possibilità di ricorrere all’aborto, o come l’Ungheria che ha approvato una legge che limita la sensibilizzazione su temi Lgbt. Il lavoro da fare è ancora tanto su molti fronti, anche vicino a noi.