Maradona ovunque. Ed è giusto così. Troppe storie, in un solo uomo. E troppi gli aggettivi sparsi intorno. Ognuno racconta, descrive, ricorda. È il destino dei miti, uomini straordinari di cui noi normali abbiamo un disperato bisogno per vivere e immaginare. Ci penso, e ci penso ancora.
Chi è stato e sarà per me Diego Armando Maradona? Tante cose, certo. Suggestioni. Evocazioni. Una su tutte: era puro rock & roll. Nessuno come lui, incantando e barcollando tra palco e realtà. Forse George Best, morto anche lui un 25 novembre di tanti anni fa. Fenomeni in campo. Destini lanciati oltre ogni ostacolo dalla loro fame di vita, quella che ti esalta nel rischio: un dribbling, una striscia di coca, alcol, donne che passano e vanno, figli da amare nei momenti di quiete. E poi: la paura, la morte troppo vicina, le rinascite quasi mistiche, le ricadute.
Un eroe del popolo, Diego. Che dopo il campo si cerca senza trovarsi mai. Scopre Fidel, stringe la mano a Chavez, si batte per il pueblo latino americano. Ingrassa, dimagrisce, ingrassa ancora. Come un’antica rock star imbolsita si mette a ricercare il suo mondo. Diego allena squadre improbabili, scompare e riappare come un mago che ha perso il controllo. Diego ballava sul campo e ti faceva ballare il cuore, Diego soffriva e tu danzavi il tuo lento, o forse una milonga, la musica di casa sua. Un magnifico dannato. Un attore che aveva il mondo in pugno mentre provava a buttarlo via. Il ragazzo che si servì della mano di Dio per vendicare la guerra delle Falkland in nome del suo popolo e dei suoi morti, l’uomo invecchiato che aveva sempre qualcosa da raccontare sulla sua visione di mondo, sulla mafia del calcio e sui proprio errori, il giocatore che ha esaltato il calcio come gesto atletico imprevedibile, proprio come un grande assolo di chitarra, come una poesia dolcissima, come atto d’amore supremo, lui ha donato la sua grandezza a un popolo. Quello argentino, certo, ma anche quello del mondo, che nel calcio vuole continuare a credere, nonostante la freddezza, l’avidità, la distanza. Diego Armando Maradona è il pallone che non c’è più. È finito chissà dove e adesso non sappiamo come fare. Sono mille le parole e tante le lacrime di chi ricorda i suoi gesti e la sua fragilità.
Maradona ovunque. Sì. Ma nella mischia di aggettivi e frasi fatte scelgo una dichiarazione di Guardiola, perché riassume il senso di una storia incredibile: «Non importa cosa hai fatto nella tua vita, Diego. Importa cosa hai fatto nella nostra vita». E non c’è altro da aggiungere.