Anno 1500: i frati francescani arrivano a Montaione, borgo di vetrai nascosto tra le selve di una zona verde e boscosa della Valdelsa fiorentina. Tra di loro c’è un monaco fiorentino, fra’ Tommaso da Firenze, che prima di arrivare tra queste colline era stato diverse volte in Terra Santa, e forse lì aveva conosciuto un confratello milanese, Bernardino Caimi, che aveva avuto un’idea originale: dal momento che recarsi in pellegrinaggio in Terra Santa era impresa lunga, faticosa e pericolosa, perché non portare la Terra Santa in Italia? Caimi aveva dunque fatto erigere, sui monti di Varallo in Piemonte, a partire del 1486, un complesso di edifici che riproducevano i luoghi santi di Gerusalemme: nasceva così il Sacro Monte di Varallo, il primo luogo del genere sul territorio italiano. Fra’ Tommaso decide di creare qualcosa di simile in Toscana, e Montaione è il luogo adatto: per la piccola Gerusalemme toscana viene scelto un locus dove già nel XIII secolo era attestata una ecclesia sancti Vivaldi, e qui fra’ Tommaso fa costruire trentaquattro cappelle che ripercorrono la passione di Cristo, a imitazione della vera Gerusalemme. Passano sedici anni, e papa Leone X, con un Breve pontificale, riconosce l’indulgenza ai fedeli che si recano in pellegrinaggio nel bosco di fra’ Tommaso. Nasce ufficialmente il Sacro Monte di San Vivaldo, l’unico della regione.
Delle trentaquattro cappelle originarie, oggi ne rimangono soltanto tredici, ma le poche che restano si presentano ai nostri occhi in maniera identica a come si presentavano a un pellegrino del Cinquecento (fatta eccezione per le poche che furono riempite in epoche successive): ognuna delle cappelle riproduce un momento della Passione di Cristo, attraverso sculture in terracotta a grandezza naturale. Ci s’immerge nel vivo del racconto evangelico, si entra nella casa del fariseo per prender parte alla cena con Gesù e la Maddalena, s’annega tra la folla che segue la salita al Calvario, s’assiste in prima persona alle sofferenze di Cristo in croce, nell’edicola del Crucifige si assume addirittura la posizione di Cristo e ci si ritrova a vedere negli occhi la massa che chiede a gran voce il suo supplizio.
Oggi, il percorso che il pellegrino segue non è certo più quello d’un tempo: la perdita di numerose cappelle ha inevitabilmente sconvolto l’unità e l’armonia del progetto di fra’ Tommaso. È però ancora un luogo di denso misticismo e di cura per l’arte, dal momento che i restauri degli anni Settanta hanno fatto sì che il patrimonio del Sacro Monte di San Vivaldo possa meglio fronteggiare le ingiurie del tempo. Ed è uno dei motivi per cui molti giungono a Montaione.
Il borgo si trova a pochi chilometri, raggiungibile attraverso la strada provinciale che si snoda, tortuosa ma agevole, dentro una fitta boscaglia. L’assetto di Montaione è rimasto pressoché inalterato nei secoli: tre strade parallele e pochi edifici raccolti attorno alla parrocchiale di San Remigio, dov’era anticamente sepolto quel beato Vivaldo Stricchi da San Gimignano, vissuto tra Due e Trecento, che dà nome alla frazione su cui sorge il Sacro Monte (non fu mai canonizzato: è uno dei tanti santi per acclamazione popolare di cui è piena la storia dei borghi italiani). Oggi, il santo riposa nella chiesa di San Vivaldo, a pochi passi dal complesso della piccola Gerusalemme. Vicina è la chiesa dei Santi Giuseppe e Lucia, che nel borgo è conosciuta anche come la “chiesa delle suore”, perché era l’edificio di culto d’un antico monastero femminile: le sue due finestre simmetriche poste sopra al portale d’accesso fanno sembrare la facciata una buffa faccia sorridente.
Proseguendo in via Cresci s’incontrano dapprima la sede della Mostra Permanente degli Antichi Mestieri, uno spazio che ricorda la figura del fabbro del borgo, Ernesto Cecconi (che fu anche sindaco di Montaione nel dopoguerra), e di conseguenza ripercorre la storia del lavoro d’una volta, e poi, stretto tra due edifici, il duecentesco Palazzo Pretorio, antica sede del governatore di Montaione, che amministrava il borgo per conto dei fiorentini: fu poi residenza nobiliare, ufficio postale, biblioteca comunale, e oggi anche sede del locale Museo Civico, che conserva reperti rinvenuti nel territorio, soprattutto d’epoca etrusca e romana. La vera “star” del museo sono però i resti d’una balena fossile ritrovata nel 1980 nel vicino borgo di Castelfalfi, frazione di Montaione (dove, peraltro, s’incontra la chiesa di San Floriano, caso abbastanza raro d’una chiesa italiana dedicata a questo santo venerato nei paesi d’area germanica). Non si tratta dell’unico rinvenimento di questo tipo: nel Museo di Storia Naturale della Certosa di Calci si trova un altro osso di balena della stessa specie di quella ritrovata a Montaione.
E dal momento che questo gruppo di fossili non ha caratteristiche riscontrabili in altre balene preistoriche, in nessuna parte del mondo, i paleontologi hanno deciso d’includere il nome del borgo nel nome scientifico di questo antico cetaceo: Balaena Montalionis. E si trova la Toscana dove meno la si aspetterebbe.
“Toscana da scoprire” è una collaborazione tra Informatore e Finestre sull’Arte, testata giornalistica che si occupa di arte antica e contemporanea, per raccontare ogni settimana sul sito dell’Informatore i più bei borghi toscani ancora da non perdere.