Erano i primi anni ‘70 quando un gruppo di allora giovani artisti, intellettuali, semplici appassionati di musica, sentì l’esigenza di unirsi in un club per creare un’alternativa al tradizionale appuntamento del Festival di Sanremo, che negli anni precedenti aveva preso la deriva delle canzonette e dei tormentoni. Si voleva dare spazio alla musica nuova, quella di Guccini, De Gregori, Vecchioni, De André e di tutti gli altri che accostavano musica e parole, dando vita a eterni canti dell’anima.
Nacquero così il Club Tenco e poi la rassegna della canzone d’autore che quest’anno, vicina al compimento dei cinquant’anni, porterà dal 21 al 23 ottobre sul palco dell’Ariston i vincitori delle cosiddette Targhe: Samuele Bersani, i Fratelli Mancuso, Peppe Voltarelli, Madame e altri ancora.
Uno spettacolo che non tradisce le sue origini, proseguendo nella sua missione, quella di dare risalto alla cosiddetta canzone d’autore.
«Per molti anni la musica d’autore è stata interpretata in maniera stereotipata, come quella che può produrre un giovane solitario con molte tristezze nella vita, che con la sua chitarra crea per un pubblico ristretto, di nicchia. Ma la musica va avanti e non può essere più racchiusa in questa immagine. È d’autore il racconto emotivo della realtà che ci circonda, la compartecipazione dei sentimenti. Non importa il genere, sia esso melodico, rap o jazz» spiega Sergio Staino, presidente del Club Tenco e noto vignettista che tanti disegni ha regalato alla manifestazione.
Già, ma perché il Club fu intitolato a Luigi Tenco?
Nella notte del 26 gennaio 1967, durante il Festival della Canzone Italiana a Sanremo, il cantautore di Ciao amore ciao si uccise, con un colpo di pistola alla tempia, lasciando un biglietto con queste parole: «Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io, tu e le rose in finale, e una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi».
«Fu una terribile sorpresa e creò parecchi turbamenti, soprattutto in Amilcare Rambaldi, un coltivatore di fiori e tra i fondatori del Festival di Sanremo, che prese consapevolezza del fatto che parecchie voci nuove nelle sonorità e nelle parole, quelle del cantautorato che raccontava la vita della società, non venivano invitati a Sanremo» aggiunge Staino. Il club diventò il luogo di ritrovo e di confronto fra le menti più illuminate del panorama musicale italiano. Il fermento era in corso, così ebbe il suo sbocco.
Già la prima edizione della Rassegna nel ‘74 riuscì a radunare un cast di 16 artisti fra i più significativi del momento (Paoli, Guccini, Vecchioni, Venditti, Rocchi, Branduardi e altri), oltre a Léo Ferré, cui fu assegnato il Premio Tenco come artista straniero. Negli anni fra i premiati ci sono stati i nomi più e meno noti della musica italiana, scelti attraverso una serie di votazioni articolate da parte di una giuria di 180 persone – giornalisti, critici musicali, personalità della cultura – in modo da evitare le solite polemiche che accompagnano il festival più famoso e popolare.
Ma che valore ha oggi il premio Tenco?
«Non siamo più di fronte a quella contrapposizione fra i due festival, oggi si fa un lavoro complementare e noi continuiamo a valorizzare aspetti musicali più sconosciuti, aiutando molti giovani a emergere. Questo – conclude Staino – fa del Tenco un evento che continua a rinnovarsi».