Nel 2024 il Consorzio del Chianti Classico, il più antico d’Italia, compirà 100 anni: fu fondato, infatti, nel maggio del 1924 da 33 produttori di vino (oggi sono 482) che scelsero come simbolo un gallo nero. Per questo importante anniversario, lo stesso consorzio ha prodotto un cortometraggio di 15 minuti per il grande schermo, che racconta la storia e le leggende sull’origine del marchio che contraddistingue tutte le bottiglie di vino Chianti Classico. E si parla di numeri importanti e in continua crescita.
Il 2022 si è chiuso con un bilancio di bottiglie vendute che segna un +6% sulla media del triennio precedente, con un fatturato che ha visto un +17% sul 2021 e addirittura +46% sul 2020.
A fare la differenza sono state le due tipologie “premium”, Riserva e Gran Selezione, che hanno rappresentato circa il 45% della produzione e il 56% del fatturato, con un boom di vendite in particolare negli Stati Uniti.
«Siamo molto soddisfatti dell’affermazione del Chianti Classico sui mercati internazionali – afferma Giovanni Manetti, presidente del Consorzio -, in particolare della tendenza positiva degli Stati Uniti e del Canada e di tutti gli altri mercati storici per i vini del Gallo Nero. E non deve stupire il successo della Gran Selezione perché questa tipologia viene vista come la massima espressione di territorialità nel bicchiere, il vero valore aggiunto che il consumatore riconosce e chiede oggi. Un passo importante verso una maggiore sintonia fra chi è appassionato di vino e chi lo produce: l’amore e l’interesse per il territorio in cui esso viene prodotto».
La storia insegna
Un’azienda che della cura e del recupero del territorio ha fatto una missione è sicuramente la Fattoria di Lamole(8 ettari di vigneti biologici e attualmente 15mila bottiglie prodotte). La zona, infatti, è la più antica del Chianti Classico, ma alcuni decenni fa l’esodo dalla campagna provocò l’abbandono di molti antichi terrazzamenti, che vennero poi distrutti dai bulldozer per piantare vitigni arrivati dal nord est a sostituire le tipiche viti ad alberello. «Circa 20 anni fa – ci racconta Paolo Socci, titolare della Fattoria di Lamole – decisi di recuperare le vecchie colture, così ho iniziato a restaurare i terrazzamenti e a rimettere le viti ad alberello, che godono di una maggiore esposizione al sole.
Dal 2003 è continuata la ricostruzione dei muretti a secco (ormai sono circa 10 chilometri quelli restaurati), recuperando anche viti pre-fillossera (insetto fitofago che attacca le radici delle specie europee di Vitis vinifera, ndr) tramandatemi da Livio Piccini, già assistente di mio nonno. Intanto abbiamo iniziato una collaborazione con alcune università europee per studiare il microclima delle terrazze, che pare funzionino da regolatori del clima all’interno del vigneto».
Innovazione per la salute
E sempre a proposito di territorio, ma anche di viticoltura biologica, un esperimento che sta dando risultati interessanti riguarda l’azienda del Castello di Meleto a Gaiole in Chianti (130 ettari di vigneti e 650mila bottiglie prodotte ogni anno). Qui è stato installato un sistema di controllo, chiamato Netsens, che prevede una centralina meteorologica su ciascuno dei cinque poderi dell’azienda, collegata ognuna con decine di sensori all’interno dei filari per monitorare lo stato di salute delle piante e intervenire solo quando serve.
«La nostra è l’azienda biologica più grande del Chianti Classico – racconta Michele Cantartese, direttore generale -; con questo sistema riusciamo ad anticipare l’attacco delle malattie e dei parassiti, oltre a capire il microclima di ogni angolo del nostro vigneto. Ma per noi è molto importante anche la salvaguardia del patrimonio boschivo (circa 800 ettari intorno alle vigne), perché questo garantisce l’equilibrio climatico del territorio e favorisce la biodiversità».