Se fritta è buona anche una ciabatta, nel brodo, quello “vero”, è buona anche la pastina (che non “ammazza” il sapore del protagonista). Però, la pastina a Natale… Per evitare il disappunto dei commensali, neanche malcelato, spazio a tortellini, cappelletti, passatelli, canederli e altri amici del brodo e del palato.
Come si fa il brodo “vero”? Senza la pretesa di insegnare niente a nessuno, ecco una ricetta classica. In tre litri e mezzo d’acqua, per circa un’ora a pentola coperta, sobbolliamo un paio d’ossa di manzo, due carote, una cipolla, un gambo di sedano, un pomodoro maturo, sale e un chilo abbondante di carne da bollito. Poi, aggiungiamo mezza gallina (che com’è noto, soprattutto da vecchia, fa buon brodo) e cuociamo piano per un’altra ora. E il brodo è fatto.
Ricordiamoci che Pellegrino Artusi, prolifico padre di tutti i cuochi, scriveva così: «Per ottenere il brodo buono bisogna mettere la carne ad acqua diaccia e far bollire la pentola adagino adagino e che non trabocchi mai».
Che ci metto dentro?
È un bel dilemma. Comprati già pronti o fatti in casa? Se la prima soluzione è la più facile e veloce, la seconda darà più soddisfazione ai virtuosi della cucina: «Li ho preparati io!» dirà l’artefice, occhi bassi e compunti, e una modestia falsa come Giuda. Al che gli ospiti reagiranno con un «Ohhh!» di ammirazione e magari d’invidia.
Iniziamo dal classico dei classici: i tortellini. Prepararli in casa non è facile. Se ci volessimo cimentare, ricordiamo che la sfoglia deve essere sottilissima, a tal punto che, dicono a Bologna, attraverso la sfoglia si deve vedere San Luca, con riferimento al santuario che sorge in alto, sul Colle della Guardia, a proteggere la città. Poi, per modellare ogni tortellino e renderlo così …ino che nel cucchiaio stia insieme ad altri cinque, ci vorrebbe la “sfoglina”, donna dalle mani sapienti e dalle dita minute. Un proverbio emiliano esalta una triade godereccia: «Dona giuvna, vëin, turtél e va là che ‘l mond l’é bèl (cioè donna giovane, vino, tortellino e dai che il mondo è bello)».
Altrettanto golosi i cappelletti romagnoli, così detti perché ricordano la forma di un copricapo medievale dalla fascia imbottita e dalla punta protesa in avanti.
Restiamo in Emilia-Romagna con i passatelli. Mescoliamo scorza di limone grattugiata, pan grattato e parmigiano. Poi versiamoci farina, noce moscata e uova sbattute, e amalgamiamo bene. Ottenuto un panetto, lo lasciamo riposare da 30 minuti a un paio d’ore. In uno schiacciapatate dai fori larghi almeno 5 millimetri, inseriamo un pezzo d’impasto per volta e schiacciamolo nel brodo, tagliando con un coltello i passatelli quando sono lunghi 5-6 centimetri. Appena vengono a galla, raccogliamoli in una zuppiera o nelle scodelle con il brodo. Serviamoli caldi con parmigiano grattugiato e pepe macinato.
Dal Sud Tirolo, ecco i canederli o knödel. Ammollato nel latte del pane raffermo tagliato a dadini, aggiungiamoci uova, erba cipollina e prezzemolo tritati, e poi speck spezzettato fine e cipolla sminuzzata precedentemente rosolati nel burro. Dopo aver amalgamato il tutto, formiamo delle palline dal diametro di 5 centimetri. Ecco pronti i canederli da cuocere nel brodo bollente. E bollenti vanno serviti.
E se il brodo avanza? Evvai con la pastina! Oppure un bel brodo caldo. «Che follia!», per dirla con Lucio Battisti.
Come si serve?
Il brodo semplice (o consommé) va nella scodella o nell’apposita tazza? I precisini vorrebbero la seconda. E poi, cucchiaio o no? Sì, se il brodo è nella scodella o se l’apposita tazza è priva dei manici preposti alla bisogna. No, se i manici sono lì, in attesa dei nostri ditoni.