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La cucina negli anni Sessanta

Prosegue il nostro viaggio nella storia della cucina con un appuntamento dedicato agli anni Sessanta del Novecento. Arrivano gli elettrodomestici e la vita in cucina diventa un po’ più facile

Negli anni ‘60, la cucina era molto più di un semplice luogo dove si preparava da mangiare: era il fulcro della casa e insieme il laboratorio di un’Italia che stava correndo verso la modernità. Era ancora forte l’eco della guerra, con il culto del «non si butta via niente» impresso nella memoria, ma intanto la televisione entrava nei salotti e con lei arrivavano nuove immagini e nuovi modelli.

L’arte del cucinare, che fino ad allora era stata paziente e lenta, tramandata per gesti, cominciava a velocizzarsi e a industrializzarsi. La carne in scatola, introdotta dalle truppe americane alla fine della guerra, diventa un prodotto classico per l’estate, obbligatorio per i picnic ma anche utilizzato nelle cene a buffet sotto forma di insalata. La versione pressatella veniva proposta anche impanata e fritta al posto della classica cotoletta!

Frigoriferi, frullatori e tostapane

Nel frattempo, nelle cucine dalle piastrelle color pastello, prendevano posto elettrodomestici moderni: frullatori con più velocità di una Vespa, tostapane cromati, frigoriferi che troneggiavano accanto alla credenza della nonna. In quegli spazi sempre più funzionali, le donne cominciavano a cambiare. Non solo cucinavano, ma lavoravano fuori casa. La figura della casalinga perfetta, tanto cara alla retorica del dopoguerra, cominciava a incrinarsi.

Le riviste come “Grazia” e “Annabella” proponevano menu settimanali equilibrati e moderni, ma accanto alla ricetta del polpettone mettevano anche consigli su come affrontare un colloquio di lavoro. Una doppia vita stava nascendo e la cucina era lo specchio perfetto di quella trasformazione: tra una besciamella pronta e una torta decorata con ciliegine al maraschino, si costruiva anche una nuova identità femminile. 

Non mancava una buona dose di spettacolo. Le tavole domenicali erano vere e proprie scenografie, allestite con la precisione di un set teatrale: cannelloni farciti, insalate russe lisce e perfette, budini tremolanti e golosi.

Il carrello portavivande faceva la sua comparsa come simbolo di efficienza borghese, trainando antipasti freddi, sottaceti e tartine con una dignità quasi regale. Si iniziava a parlare di “cena tra amici”, concetto nuovo, da film americani, dove si osava servire vino bianco fresco e perfino spaghetti con panna e prosciutto, che all’epoca parevano una rivoluzione gastronomica.

Pronto in tavola

E poi, le prime contaminazioni: la cucina “all’americana” faceva capolino. Il fast food non era ancora arrivato in modo stabile, ma l’idea di mangiare qualcosa di “pronto” cominciava a non fare più così paura. Il pollo arrosto del rosticciere sotto casa diventava alternativa lecita alla faraona della nonna e le lasagne già pronte si facevano spazio nel frigorifero accanto alle bibite gasate. Si iniziava a delegare e in quell’atto c’era già un piccolo, silenzioso gesto di ribellione: cucinare non era più solo un dovere, ma anche una scelta. 

Non dimentichiamo poi che tanti consumi venivano ispirati dai messaggi pubblicitari della tv, grazie a Carosello, un contenitore di pubblicità ben diverso dagli spot attuali: si deve a personaggi dell’epoca l’aumento dei consumi di prodotti come le creme spalmabili al cioccolato, il brandy o anche il caffè, grazie ad attori o personaggi inventati come il Gigante Buono, Gino Cervi e Fernandel o Carmencita. 

In tutto questo fermento, mentre l’Italia costruiva le autostrade e grattacieli, la cucina degli anni ‘60 restava sospesa fra nostalgia e futuro., tra ricettari pieni di burro e sogni di emancipazione. Era un’epoca in cui si mescolavano le polpette con i sogni, la crema pasticcera con i desideri di libertà, e ogni teglia che usciva dal forno sembrava dire: «La tradizione è bella, ma non può più bastare».

Un decennio in cui la cucina era ancora piena d’amore, ma cominciava ad assomigliare anche a una dichiarazione d’intenti. E se oggi guardiamo con un po’ di ironia a certi piatti coperti di gelatina o a quell’insalata di riso con i wurstel tagliati a rondelle, è solo perché, in fondo, sappiamo che là dentro c’era molto più che cibo: c’era il tentativo, buffo e coraggioso, di stare al passo con un mondo che correva, magari indossando ancora le pantofole, ma col passo deciso.

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