Dici “trippa” e si apre un mondo. Ogni campanile rivendica la paternità della ricetta migliore. Alla fiorentina, pisana o romana: nessuno vuol lasciare il primato agli altri, perché questa pietanza è un simbolo dell’identità gastronomica locale. Alcuni invitano a condirla con un pizzico di modernità, altri ne hanno fatto poesia.
«La trippa è uno stato di avanzamento culturale», sentenzia Fabio Picchi, il fondatore del ristorante Cibrèo, tempio fiorentino delle buone frattaglie. «È il recupero del quinto quarto, non un mangiar dei poveri, ma di persone avvedute: in questa città non siam pidocchi, bensì oculati».
Ricette classiche
La genesi del piatto porta fino alle cucine più modeste, dove un tempo si impiegavano poche e semplici cose per cibi sostanziosi e saporiti. Il primo quarto del bovino, più pregiato, spettava ai nobili. Il secondo al clero, il terzo per qualità andava ai borghesi, il quarto ai soldati. La plebe si accontentava del quinto quarto, ossia le interiora dell’animale, che furono trasformate in un batter d’occhio da scarto a ghiotta vivanda.
Non a caso, a Firenze, il quartiere popolare di San Frediano è da sempre indicato come terra natia dell’antica corporazione dei trippai, che qui crearono l’accoppiata formidabile tra un pezzo particolare dello stomaco della mucca, da cui deriva il lampredotto, e il panino.
«Se facciamo un soffritto di carota, sedano e cipolla, lo portiamo al color del rame e aggiungiamo i pomodori e infine la trippa a listarelle, abbiamo già compiuto un’impresa straordinaria – suggerisce Picchi -. Possiamo anche, dopo averla immersa in acqua e aceto, sciacquata e bollita con un solo microscopico chiodo di garofano, fare una doppia mantecatura di burro e parmigiano, citata pure dal Collodi in Pinocchio».
Cenerentola dell’alta cucina
In Toscana le frattaglie hanno conquistato un posto di rilievo nel cibo di strada e nelle tante sagre paesane. Celebre è l’evento del Primo maggio a Volterra, dove la trippa è servita fin da colazione, per saziarsi al mattino come erano soliti fare gli alabastrai. Al contempo i menù di alto livello tendono a snobbare questa materia prima. Un mostro sacro come Pellegrino Artusi ne La scienza in cucina la liquida come «un piatto ordinario», comunque sia «cucinata e condita».
Tuttavia, accanto alle tradizionali ricette in umido e al lampredotto nel panino, le alternative esistono, osserva il critico enogastronomico Leonardo Romanelli. «Sono degli ingredienti permeabili ai condimenti, una spugna che assorbe tutto ciò che viene messo insieme. Dunque il potenziale è altissimo».
Abbinamenti inaspettati
Romanelli con il suo Trippa & Pasta (collana “I quaderni di Troppatrippa.com”) ci dà qualche dritta insolita: «Prima di tutto la trippa fritta, in pastella oppure passata in farina, uovo e pangrattato. Interessante poi l’abbinamento con i crostacei, ad esempio il lampredotto accompagnato da gamberi e una salsa leggera di erbe aromatiche».
C’è un mito da sfatare: la trippa non è affatto grassa, ma rappresenta una fonte altamente proteica a basso contenuto di lipidi. Da sola non appesantisce, molto dipende da ciò con cui è unita. Qualcuno però non si rassegna, perché come dice Fabio Picchi: «Con la trippa bisogna essere emotivamente generosi. Se togli il soffritto o la mantecatura di burro e parmigiano, che poesia resta?».
Nei Coop.fi
La trippa, lavata e parzialmente cotta, è disponibile nei Coop.fi in pratiche vaschette. Arriva in larga parte dalla Nuova Tripperia Fiorentina, impresa familiare nata nel quartiere di San Frediano, con sede oggi a Barberino di Mugello, mentre la zona empolese è servita dall’azienda Fioravanti, specializzata nelle frattaglie da 50 anni.
Nei principali punti vendita si trovano anche proposte già pronte: trippa alla fiorentina, insalata di trippa e lampredotto in inzimino.