La cucina in tempo di guerra

Prosegue il nostro viaggio nella storia della cucina con i piatti del tempo della guerra. Ingredienti poveri e di riciclo, nessuno spreco e sostituzioni "creative" per fare di necessità virtù

“La cucina di guerra” è una definizione che si può riferire all’insieme di pratiche culinarie adottate durante i periodi bellici, quando le risorse erano scarse e le persone dovevano arrangiarsi con ingredienti limitati. Questo fenomeno si è verificato in diversi conflitti, tra cui le ultime due guerre mondiali, e ha dato origine a piatti semplici ma ingegnosi, spesso basati su sostituzioni e su un uso parsimonioso degli alimenti disponibili. 

La cucina di guerra era caratterizzata da ingredienti poveri, quali la farina di castagne, le patate, i legumi e gli ortaggi spontanei, e dalle sostituzioni che potremmo definire oggi “creative”, per fare di necessità virtù: è il caso del caffè d’orzo o di cicoria al posto del caffè vero, il pane preparato senza lievito e la carne sostituita da pietanze contenenti proteine vegetali. 

In mancanza di ghiaccio e di frigoriferi, per prolungare la vita degli alimenti si usavano tecniche di conservazione come l’essiccazione, la salatura o la fermentazione. Con l’introduzione del razionamento alimentare, fatto dai governi per garantire la distribuzione delle risorse disponibili, nacquero non solo mense popolari, ma si fece ricorso anche a strategie di sopravvivenza, ad esempio creando nei giardini e nei cortili gli orti di guerra, dove i cittadini coltivavano ortaggi per avere cibo fresco.

Virtuosi per necessità 

Il riciclo era all’ordine del giorno: nulla veniva sprecato, nemmeno le bucce di patate o le ossa, e le sostituzioni alimentari erano all’ordine del giorno, con il latte che veniva diluito con acqua, la farina raffinata sostituita con farina integrale o di castagne. Alcune delle ricette elaborate in quegli anni sono sopravvissute fino ai giorni nostri o sono rimaste, al contrario, così tanto nella testa delle persone che non le hanno più volute preparare per il resto della vita.

Alcuni esempi possono essere la zuppa di pane raffermo e acqua, arricchita con erbe o verdure selvatiche, la polenta preparata senza condimenti, o addirittura la frittata preparata senza uova, mescolando farina ed acqua, creando quelli che venivano chiamati popolarmente “tondoni”.

Altri piatti invece hanno trovato dignità anche negli anni successivi, come la zuppa di ortiche, che si potevano trovare semplicemente andando nei giardini in città e nel bosco, o le torte che, in mancanza di burro e uova, vedevano la presenza di olio o strutto e venivano dolcificate con miele o sciroppo di barbabietola al posto dello zucchero semolato. 

Per dare soddisfazione allo stomaco, si cercava anche di preparare ricette che potevano dare una sensazione di pienezza anche se temporanea: è il caso della pasta con il pangrattato e l’olio o delle polpette di pane e patate, preparate con il pane raffermo e tante erbe aromatiche e spezie per dare sapore in mancanza del formaggio.

Carbonara bellica

Infine, con le scatolette di carne che costituivano la razione alimentare dei soldati alleati, e che loro stessi regalavano alla popolazione civile, si preparavano il ragù per condire la pasta e dei veri e propri stufati.

Ma la ricetta che più di ogni altra è legata alla guerra è sicuramente la carbonara, che sembra proprio non abbia origini romane. L’origine di questa ricetta è oggi attribuita a Riccione: nel 1944, per celebrare lo sfondamento della Linea Gotica, i generali alleati incaricarono lo chef Renato Gualandi del Grand Hotel Des Bains di preparare la cena della vittoria, fornendo alcuni ingredienti come uova in polvere, formaggio, pasta, panna e bacon. Aggiungendo una spolverata di pepe, nacque così la prima carbonara della storia.

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