«Lo studio della storia? È fondamentale e, dirò di più, a scuola si dovrebbe studiare soprattutto la storia degli ultimi 100-150 anni, concentrando l’attenzione sul periodo che va dalla Prima guerra mondiale fino al 2000. Se conoscessimo meglio la nascita del fascismo e il secondo conflitto mondiale, si capirebbe di più quello che succede oggi».
Non vuole parlare di politica Francesco De Gregori nel corso della conferenza stampa di presentazione del nuovo tour, ma sull’importanza dello studio della storia non si trattiene. E come potrebbe essere altrimenti per chi ha raccontato la storia e la società del nostro Paese con canzoni indimenticabili, come Generale, Viva l’Italia e la Storia siamo noi. Il 16 luglio sarà in piazza Santissima Annunziata a Firenze. Altra tappa toscana, a Lucca il 30 giugno.
Come si svolge il Greatest hits tour?
Siamo partiti dalle Terme di Caracalla a Roma per girare tutta l’Italia, dalla Sicilia a Verona. A metà del nostro cammino ci fermiamo a Firenze e lo facciamo con un’orchestra sinfonica di 40 elementi, più un quartetto – Gnu quartet – e la mia band, in totale saremo una cinquantina di persone sul palco e “rivestiremo” le mie canzoni più conosciute, greatest hits appunto tipo Titanic o la Leva calcistica della classe ’68, con sonorità del tutto inedite. Sono pochi infatti i miei pezzi originariamente registrati con l’ausilio di un’orchestra vera e propria, direi soltanto La donna cannone e Alice, dove è presente una sezione d’archi.
Che sensazioni si provano a cantare in una piazza come Santissima Annunziata?
Il concerto dello scorso anno fu bellissimo e torno molto volentieri: mi piace cantare in luoghi belli ed eleganti. A Firenze tutto è particolare, siamo in un museo a cielo aperto. Immagino l’effetto che possa fare su un artista straniero, americano ad esempio, esibirsi in un luogo come questo.
Cosa ne pensa dei concerti nelle piazze dei centri storici?
È una politica giusta, le piazze sono state sempre usate dalla popolazione per riunirsi e per vivere in maniera sociale lo spazio urbano. Un concerto in piazza va in questa direzione, anche se certamente ci vuole un criterio di protezione per spazi particolarmente fragili.
Dopo tanti anni di carriera, che effetto fa sperimentare?
Per un artista che vuole durare nel tempo è salvifica l’idea di provare a fare qualcosa di non fatto prima, di mischiare le carte, di correre il rischio. In quarant’anni lo stile muta da solo, basta seguire i naturali cambiamenti interiori, assecondandoli.
Per un cantautore il mondo digitale risulta amico o nemico?
Nemico no, i sistemi di diffusione della musica sono cambiati tante volte nel corso della mia lunga carriera. Quando ho cominciato, non c’erano neppure le musicassette. Trovo che ogni cambiamento tecnico produca in qualche modo un miglioramento per la fruizione della musica. Non sono d’accordo con quelli che demonizzano le nuove tecnologie, certo però quando alcune piattaforme, come Spotify, compongono con un algoritmo delle sequenze musicali che non hai scelto, è un po’ inquietante. In ogni caso se la tecnologia aumenta la diffusione, secondo me è solo bene per chi fa musica e per chi l’ascolta.
Che ne pensa delle nuove generazioni di musicisti italiani? Le parole e il testo sembrano riacquistare centralità…
Trovo che ci sia un’ondata di giovani musicisti e autori di canzoni che adottano uno stile diversissimo da quello che contraddistingueva la mia epoca, e questo è inevitabile. Anche la mia generazione di cantautori, con Venditti, Baglioni, Fossati, Battiato, Bennato, fu un passaggio epocale nella musica italiana: cancellò quasi completamente quello che c’era prima. Prima si vendevano i 45 giri e con i cantautori si cominciò a vendere i 33 giri.
Quanto influisce il clima sociale e politico?
La musica, così come l’arte, esprime sempre un disagio, una sofferenza; difficile che un’opera artistica sia associata a uno stato di benessere. Probabilmente anche il clima sociale, così come quello politico, può influire, ora e sempre.
I giovani e la questione ambientale…
I giovani hanno non solo il diritto, ma anche il dovere di farsi sentire, anche nel loro modo che può essere ottimisticamente ingenuo o ingenuamente ottimistico. Se stiamo parlando del futuro del pianeta, bisogna cominciare dalle piccole cose, dal quotidiano.
In questo momento davanti a me ci sono dieci bottiglie d’acqua di plastica: è inutile continuare a produrre certi materiali, o desiderare di consumarli, e poi andare in piazza e manifestare. Detto questo mi tolgo il cappello davanti a tutti i giovani che sanno dell’esistenza di questo problema e a modo loro cercano di contrastarlo.
Il tempo passa, ma il pubblico dei concerti è cambiato?
Certo, c’è un dato anagrafico: oggi il mio pubblico solo marginalmente è un pubblico di ventenni, vedo molte barbe bianche e teste calve. Però il pubblico ha sempre lo stesso desiderio e modo di partecipare, da nord a sud e anche a distanza di anni.